Il grande ritorno del chinotto

di Sergio Rossi

Circa 800 piante in piena produzione più altre 1500 messe a dimora in nuovi impianti; una produzione annua assai variabile compresa fra i 100 e i 200 quintali di frutti destinati in gran parte alla trasformazione alimentare, soprattutto canditura, e in misura minore all’estrazione di essenza per uso cosmetico.

Raccontavano molti naviganti del passato che, costeggiando la Liguria, il profumo delle fioriture di agrumi giungeva fino alle loro imbarcazioni. Tutto il litorale coltivabile appariva come un unico agrumeto, tanto che la rilevante produzione di frutti alimentava un fiorente commercio. Basti questo a confermare quanto la costa ligure sia da sempre vocata alla coltivazione degli agrumi e dunque vanti una secolare tradizione a essi legata. E se cedri, aranci e limoni l’hanno sempre fatta da padroni, si può dire che il chinotto sia stato il “fuoriclasse” fra gli agrumi.

La lunga storia del chinotto conserva i suoi piccoli segreti e alimenta alcune leggende che contribuiscono a renderne un po’ misteriosa l’introduzione in Liguria. La più conosciuta di esse racconta di un marinaio savonese che, di ritorno da uno dei suoi viaggi, portò con sé una pianta di chinotto avviando così la coltivazione nel Ponente Ligure. Nessuno sa dire quanto questa storia disti dalla realtà, né se di questo piccolo frutto sia stato più apprezzato il profumo inebriante o il sapore ricercato dopo la canditura. Rimane la certezza che qualche secolo di storia ha consegnato al territorio savonese il primato assoluto nella coltivazione del chinotto e una tradizione ultracentenaria che alcuni decenni addietro rischiava di perdersi. Per fortuna, ripartendo dai pochi contadini e trasformatori che ancora coltivavano le piante e lavoravano i frutti, Slow Food intraprese, nel 2004, un’azione di protezione del chinotto inserendolo fra i propri Presidi. Quel primo lavoro di tutela e promozione stimolò anche una sorta di presa di coscienza circa le potenzialità effettive di questo agrume ormai raro, e la sua conseguente rivitalizzazione. Credere nella scommessa ha consentito di gettare le basi per un futuro assai promettente. Oggi il numero di produttori è aumentato e con esso la quantità di piante e frutti. Ciò che più conta, però, è il crescente apprezzamento del chinotto in un tutte le sue declinazioni. Infatti, anche dall’ottimo successo riscontrato in profumeria e dall’interesse destato dalla storia di questo agrume così singolare, è nata la rete di imprese chiamata “Il chinotto nella rete”, un insieme di aziende che attraverso la filiera del Chinotto di Savona intende promuovere l’intero territorio di produzione. Come spesso accade, quando il meccanismo si mette in modo le opportunità si moltiplicano, e così è stato anche per il chinotto, poiché attraverso il progetto europeo “Mare di agrumi”, che coinvolge diverse realtà italiane e non, si sta cercando di caratterizzare la pianta, ovvero di indentificarne puntualmente, attraverso apposite analisi, i caratteri distintivi e le proprietà specifiche.

A questi obiettivi stanno lavorando il Centro di Sperimentazione e Assistenza Agricola di Albenga (CERSA) e l’Università di Pisa, entrambi partner del progetto di cui è capofila il Comune di Savona. Il cosiddetto Chinotto di Savona geneticamente sarebbe “parente stretto” del Citrus myrtifolia pur dimostrando differenze evidenti nella dimensione delle foglie, assai più grandi nel primo, e nelle caratteristiche del frutto, buccia più sottile, assenza di semi ecc.

Diversità morfologica e organolettica cui si affiancherebbe, secondo i primi studi, quella relativa alle proprietà benefiche del frutto e delle foglie che vedrebbero prevalere nettamente il Chinotto di Savona. Nuove conferme scientifiche potranno venire solo dalle analisi in corso, ma le prospettive in tal senso sono assai promettenti e si profila all’orizzonte l’idea di proteggere e promuovere legittimamente quella che è considerata, da sempre, la “vera” pianta tradizionale dell’area savonese, localmente riconosciuta col nome di Chinotto di Savona.

Tornando alla lavorazione tradizionale dei frutti, si va dalla canditura, ai chinotti sciroppati, fino alle marmellate, tutti prodotti che all’inizio del secolo scorso alimentavano un florido commercio sostenuto in buona parte dall’esportazione. Citazione a parte merita la bibita, che seppur meno legata, in passato, all’identità autentica del chinotto savonese, se non altro per la sua ampia diffusione e per la produzione industriale, ha contributo a rendere popolare il nome del frutto. Peraltro, proprio la rinnovata notorietà del frutto e la crescente attenzione verso l’uso di ingredienti naturali anche nelle preparazioni indirizzate al grande pubblico, hanno determinato la nascita di una bibita al chinotto basata su un infuso di frutti savonesi.

Oggi queste preparazioni storiche rimangono i punti forti dell’economia connessa al chinotto, anche se la sua rivitalizzazione ha suggerito diversi altri impieghi alimentari e cosmetici. Così, a fianco a un uso diffuso in pasticceria, per conferire un tocco ricercato a dolcetti di ogni genere, si registra l’impiego del chinotto in gelateria, per aromatizzare la birra, l’olio d’oliva taggiasca e altri prodotti alimentari. Il liquore, talvolta definito anche Chinottino, merita un piccolo approfondimento. Presso l’Archivio di Stato di Genova sarebbe stato ritrovato un documento settecentesco che riporterebbe proprio la ricetta del liquore al chinotto, a testimonianza di un’antica tradizione nella produzione di questo ricercato elisir.

Il chinotto è dunque un prodotto simbolo della cultura e della tradizione agroalimentare ligure e le terre del savonese sono il luogo in cui questo patrimonio è stato alimentato e custodito, grazie ai contadini e agli artigiani che ne hanno tramandato i saperi e le pratiche collegate. Oggi si punta decisamente al futuro scommettendo sull’intera filiera derivante dalla pianta, quindi i frutti, le foglie, la buccia essiccata, l’essenza ecc. Si profila perciò un percorso che riflette nel futuro i valori ereditati dal passato, per esaltare la tradizione traguardando con fiducia all’innovazione.

Sergio Rossi

 

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