A pranzo in Alta Val di Vara

Rocchetta di Vara… già il naturalista levantese Domenico Viviani (1772-1840), che teneva cattedra presso l’Università di Genova, ne descrisse terreni e minerali. L’area fu ed è oggetto di importanti recuperi archeologici, e – come più estesamente precisai anni fa – scavi nei castellari della Val di Vara hanno fra l’altro rinvenuto resti di composti alimentari di orzo, grano e leguminose, segno – paleobotanico – che forse quei nostri antenati preparavano “zuppe”, lontane dal culto di Cerere ma, negl’intendimenti, non troppo dissimili dall’attuale mes-ciùa spezzina, un mix brodoso ma delizioso di legumi (1). Rocchetta stessa, borgo dell’alta valle, fu preromana, poi insediamento monastico, sino alle cento contese feudali di confine, che prelusero a Napoleone ed infine all’Unità d’Italia. Si caratterizza per antiche architetture militari, civili e religiose, ma gli amanti dell’open air trovano anche – a piedi, in bici, a cavallo… – ristoro paesaggistico nella pineta di Suvero, verso l’alto passo dei Casoni, allacciata da vari percorsi all’Alta Via dei Monti Liguri. Di straordinario interesse Palazzo Vinciguerra, d’un casato che di fatto amministrò il feudo per conto dei Malaspina di Villafranca. L’edificio, con sale nobiliari di pregio, ha beneficiato – anche per il consolidamento strutturale – di restauri decennali, e dal suo archivio si traggono documentazioni diplomatiche utili a ricostruire le dinamiche storiche e sociopolitiche locali. L’intero territorio, grazie anche ai castagneti e ai pascoli, propone da sempre un’economia agropastorale (vite, ulivo, cereali, ortaggi, mele, ciliegie, fichi, mandrie e greggi, pollame…), ravvivata da eventi che il sincretismo pagano-cristiano ha traghettato attraverso i secoli, mi riferisco in particolare all’antico carnevale di Suvero, ultimo sabato, che maschera i giovani del paese da belli (con fantasie di fiori, colori…) e da brutti (con velli ovini, temibili corna…). La sfilata lungo i carruggi dell’abitato vede i belli “sedurre” col fascino l’altro sesso, e i brutti burlarsi con ferocia del prossimo, sino ai convivii serali che dionisiacamente rimetteranno tutti d’accordo, conciliando le differenze dell’animo umano e già attenuando i rigori dell’inverno grazie all’arrivo dell’imminente, luminosa primavera. Quanto all’enogastronomia locale, sciorina alcune eccellenze. Corre l’obbligo di menzionare forse per primo il grano bianco (durum e aestivum) di Suvero, festeggiato a luglio. è un antico triticum valligiano, bello a vedersi, di spiga alta, coltivato anche a Calice al Cornoviglio, Maissana e Zignago. La viticoltura si ambienta ad esempio in frazione Veppo (terra di emigranti), dove nel 2010, presso la settecentesca Villa Zucchini, si svolse anche la manifestazione storico-culinaria “piatti di carta”, con ricette dagli archivi di Lunigiana. Gli apiari donano un miele prezioso (gòditi amico lettore anzitutto quello d’erica), e – in stagione – i boschi non lesinano funghi ai cercatori… Ne discende, complessivamente, un’arte cuciniera rustica ma appagante, le cui cifre ricorrenti sono impasti di farine a km0, torte d’erbi, ripieni di riso ben gonfi, carni e salsicce, buccellati e ciambelle “con quel che c’è”, e last not least il castagnaccio/pattona cotto nei testi (manufatto tipico del levante ligure) col profumo dei finocchietti selvatici. Ed infine una torta, chiamata “Vinciguerra”, la cui ricetta è stata ritrovata per caso nell’omonimo palazzo e che ha permesso di recuperare una tradizione manoscritta dell’Ottocento, alquanto chic (pastafrolla con mandorle). Non mi resta che augurarti buon soggiorno e buon appetito, turista buongustaio. Il futuro certamente risiede anche nella memoria. Tuttavia non abita il misoneismo demagogico, né le filosofie “rurali” ove pretendano di retrocedere ai tempi del baratto, bensì nella capacità di tutelare l’ethnos promuovendolo, aprendosi al nuovo, poiché solo la valorizzazione consentirà risorse atte alla salvaguardia e, via via, ad interagire adeguatamente coi cosiddetti turismi esperienziali, che già vanno affluendo in Liguria per immergersi nelle nostre storie e culture (2).

(1) U. Curti, Il cibo in Liguria dalla preistoria all’età romana, ed. De Ferrari, Genova, 2012

(2) U. Curti, Libro bianco del turismo esperienziale e food&crafts. Prospettive (in Liguria) per territori, cultura, imprese, ed. Sabatelli, Savona, dic. 2018. Il volume “documenta” come la conoscenza quantomeno dell’inglese, la capacità di storytelling e un idoneo marketing su web/social media saranno decisivi per non scomparire dai mercati della domanda

Umberto Curti

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