San Colombano Certenoli: viaggio nella ruralità dal medioevo a oggi

Scopersi pienamente San Colombano Certenoli quando l’Aeronautica Militare mi destinò alla Stelmilit di Chiavari (caserma che da San Colombano dista una dozzina di km…). Eccettuate le levatacce per i turni di servizio, fu un anno spensierato, che coi commilitoni punteggiammo di cene in più d’una trattoria dei dintorni, in particolare ricordo “La tagliola”, tuttora gloriosamente in attività, dove abbondavano gli antipasti caserecci, i raiêu a-ö töccö, le carni fra cui anche il coniglio, in stagione i funghi, menu perfetti per stomaci giovani… Ma temo che, soprattutto in occasione delle cene di congedo, l’etilometro a quei giovani avrebbe riservato sguardi severi… Il toponimo del paese si lega nella prima parte ad un santo celeberrimo ma di cui, contemporaneamente, molti ignorano le vicende terrene. Si tratta di un missionario irlandese il quale, all’inizio del VII secolo, dopo lunghe “peregrinazioni” attraverso l’Europa continentale, fondò nel 614 il monastero di Bobbio, presidio della fede che ben presto divenne uno dei principali scriptoria del tempo, ovvero un cenobio dotato d’una biblioteca dove si studiavano e trascrivevano, per salvarli dall’usura e dall’oblio, i classici, i capolavori e i bestseller – ovviamente anche “pagani” – dell’antichità. Il fondatore stesso ebbe notevole dimestichezza con la scrittura, compilando fra l’altro una severa “regula” e perfino una cinquina di delicate poesie1, mirabilmente commentate anni or sono da Monsignor Inos Biffi. E’ anche verosimile che proprio grazie al know how dei monaci l’area, sin lì soprattutto luogo di caccia e di allevamento, si sia ricoperta di fasce terrazzate, idonee anche alla vite. La vite oggi regala in primis lo Scimiscià (o Scimixà o Cimixà o Ximixà o Cimicià…), un particolare bianco che ad esempio sposa benissimo lo stoccafisso, e che viene anche passito…

Di bassa resa, allignerebbe in zona da mezzo millennio ed il nome potrebbe, ma sottolineo il condizionale, alludere all’aspetto “cimiciato” dell’acino (Arata, Bollettino agrario, febbraio 1882). Molto deve – come sanno gli addetti ai lavori – alla passione agro-storica di Domenico Cuneo Castillo, dell’agriturismo “U cantin”, oasi quieta sulle colline, difficile da scovare ma dove la cuoca delizia i clienti rivisitando il terroir, dai testaroli al coniglio ripieno alla pasticceria fine fine…

Siamo in Val Fontanabuona, la valle dell’ardesia e… delle ostie (vi opera infatti l’unico ostificio che ancora in Liguria produca ostie da fritto, le neige per i croccanti “stecchi” alla genovese e per qualche altra leccornia, ostie cui auguriamo di completare un percorso De.Co.). Il Comune, in lenta ma confortante ripresa demografica, s’estende peraltro su un’area molto vasta e variegata, comprendente anche le pendici del Monte Ramaceto (noto agli escursionisti e bikers per le faggete) e la val Cichero (terra di formaggette, ricotte…) già confine verso la valle Sturla. Il territorio dal punto di vista storico fu fliscano e alternativamente malaspiniano.

In chiave turistica propone da un lato soprattutto architetture devozionali, che talvolta – come avvenuto nella cappella di San Lorenzo, in frazione Calvari – svelano preesistenze, in quel caso un altare ed una pavimentazione, e dall’altro l’eccellenza di Palazzetto Cuneo, pur esso in frazione Calvari.

La dimora fu nel 1905 donazione liberale della famiglia Cuneo all’ente Comune. Gli spazi – nell’insieme – sono oggi biblioteca e museo, ospitando una raccolta di antichi attrezzi contadini ed enologici, una bottega del tempo che fu, un laboratorio da calzolaio nonché, nella cosiddetta “sala ricordi”, alcuni strumenti musicali come i pifferi di fine ‘800. Di fatto, il museo restituisce uno spaccato socioeconomico delle quotidianità locali attraverso il tempo. Calvari, infine, ma mi vien da dire last not least, è anche sede di quell’Expo campionaria della Fontanabuona – e del Tigullio – che, a fine agosto, aggrega festosamente stand, sapori ed eventi (quest’anno a Dio piacendo si tratterà della 35ma edizione). La stessa struttura ospita anche una sede coordinata dell’IPS per l’enogastronomia e l’ospitalità alberghiera “Marco Polo”; quivi gli studenti lavorano sulle tradizioni food locali, organizzano periodici eventi e realizzano anche un giornalino, distribuito gratuitamente in loco. Ma bando agli amarcord autobiografici e alle descrizioni storico-culturali, Liguria Food ci convoca numero dopo numero a percorsi enogastronomici che da levante a ponente stanno progressivamente riguardando l’intera regione. Stavolta che cosa approfondire ed assaggiare a San Colombano Certenoli? Il ricettario è rustico e pur creativo, poggiando intensamente – caso per caso, tavola per tavola – sui battolli, sulla baciocca di patate, sulle verdure ripiene e sulle carni (inclusi la gallina lessa ed il cinghiale), talvolta arroventate sulla ciappa, come si perpetua d’estate in frazione Romaggi. Nei testi cuoce il pane, le coltivazioni donano basilico, melanzane e altri ortaggi d’eccezione, e la natura più verace e boscosa le affianca con erbette selvatiche per il preböggiön2, miele, tondeggianti nocciole “del rosso” e castagne…

Il tema nocciole vale una parentesi, poiché almeno dal ‘400 il nocciolo troneggia nell’economia dell’entroterra chiavarese. Sono non a caso basso-medievali i primi atti notarili che dagli archivi menzionano sia Mezzanego sia San Colombano, e occorre dire che a lungo il nocciolo sopravanzò il castagno, purtroppo afflitto da ricorrenti fitopatologie. Con le nocciole si confezionano anzitutto dolci (tappa d’obbligo il panificio-catering “Torre Federico”) e deliziosi croccanti, mentre le castagne consentono rustìe, castagnacci, picagge matte, che ti suggerisco di condire con un pesto “grossolano” o – in stagione – con un marò di fave fresche…

Amico lettore, quando, dalle coste estive molto assolate e caotiche, vuoi dunque volgerti alla Liguria più green e meno nota, luoghi come San Colombano Certenoli ti restituiscono la voglia di ritrovare – per un attimo o di più – anche te stesso. Bon détour!

Umberto Curti

Note

  1. si veda anzitutto G.S.M. Walker (a cura di), Sancti Columbani Opera, Dublino, 1957
  2. viceversa, il preböggiön di cavolo e patate, “memoria” anche della Val Graveglia, si sposa magnificamente ai fügassin de mega (farina di mais, acqua, lievito, e frittura in padella)

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