Addio a Dario Enrico, pioniere del Pigato di qualità

Non è colpa del Coronavirus, questa volta, ma del tempo, quel tempo che lui scrutava l’orizzonte, con aria più o meno preoccupata, a seconda della stagione e del meteo, perchè la vigna ha bisogno di acqua, di sole, di cura, di fatica e sudore. Dario Enrico, classe 1928, uno dei primi visionari uomini del vino ligure, se ne è andato poche ore fa a Bastia d’Albenga. E’ stato, assieme ad Aldo e Umberto Calleri, Pippo Parodi, Riccardo Bruna, Tommaso Lupi, Ettore Vio, Flavio Maurizio Luigi Anfossi, i fratelli Guglierame (e mi perdoneranno gli eredi di chi ho dimenticato) tra quelli che negli Anni ‘60 e ‘70 si convinsero che Pigato, Rossese di Campochiesa, Vermentino, Ormeasco, Alicante (oggi Granaccia) potevano diventare ambasciatori del gusto, della tradizione, del terroir (inteso come terreno, clima, cultura di chi coltiva la vite) ponentino. Dario, dicevo, è stato uno che il Pigato lo aveva nel sangue da sempre, ma non il Pigato da grandi numeri (si fa per dire, vista la produzione totale del vitigno), piuttosto un Pigato sincero, a volte forte, profumato e mai ruffiano.

 

Lo ricordo, inizi anni ‘90, che a me pareva vecchio (aveva, allora, meno anni di quanti ne ho io oggi), forse per la faccia arsa dal riverbero del sole sugli acini, forse per quella sua Ape senza tempo con cui si spostava da Bastia ad Albenga. Mi portò, quasi per ripicca (avevo scritto di Pigato sulla Stampa, ma di Pigato per lui “industriale”) due bottiglie del suo vino: un nettare, una esplosione di profumi, mineralità, frutti gialli al palato, insomma, l’apertura su un mondo, quella del Pigato (sarebbe meglio dire dei Pigati) che, nel corso degli anni, non ho ancora terminato di esplorare. Nel corso dei mesi imparai a conoscere Dario nel suo lato più ligure, poche parole, mai a sproposito, un amore quasi campanilistico nei confronti di Bastia, il “vero balcone di Albenga, non come Salea”, le cose della vita allontanano, trasferito per lavoro a Savona, le vicissitudini della vita. Ma nel ricordo Dario Enrico era rimasto una figura positiva e amicale. L’ho rivisto, l’ultima volta, un anno fa, il 19 marzo del 2019, nella sua cantina in piazza a Bastia d’Albenga, orgoglioso di quel che ha seminato, del vino e dei vitigni, certo, ma anche delle nipoti, compresa Victoria, bisnipote allora di pochi mesi, già regina della cantina.

Marco Rezzano, presidente di Enoteca Regionale della Liguria, ricorda così Dario: “Personaggio schivo, grande lavoratore, un punto di riferimento per il mondo del vino ligure. I suoi vini, mai ruffiani, hanno sempre denunciato il suo legame con il territorio, con i profumi, i sapori della Riviera. E’ stato non solo un grande vignaiolo, ma anche un grande maestro, non un geloso custode dei segreti dei suoi vini, ma un divulgatore di passione, sia in famiglia che al di fuori. Un grande che preferiva parlare con il suo lavoro, le sue bottiglie, che non con le parole. Ma le sue bottiglie, i suoi vini parlano e raccontano, oh se raccontano”!

A tutta la famiglia, soprattutto a La Biffi e alla piccola Victoria (perchè le conosco personalmente) un grande abbraccio, a Dario il mio grazie per avermi aperto gli occhi sul Pigato e avermi fatto vedere Bastia con altri occhi.

 

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