I vini bianchi della Cantina Sancio

Si lo so: siamo una regione un po’ fuori moda, che sa di esserlo e se ne compiace; siamo un balcone sul mare, ma la nostra anima più vera e profonda è quella della terra.

Ed è proprio in un piovoso e freddo pomeriggio di gennaio che, guardando a sinistra dell’autostrada di percorrenza, tra catene di monti e colline innevate, non posso non fare una considerazione: siamo fondamentalmente una regione montana e limitarsi all’aspetto costiero sarebbe fare un viaggio a metà. Tutto il nostro territorio deve guardare il mare ed essere guardato dal mare. 

Abbiamo un’agricoltura difficile, segnata dall’abbandono delle terre, dal dissesto idrogeologico, dalla parcellizzazione, in un contesto di piccoli produttori dove una cantina da 100 mila bottiglie è considerata un gigante. Un vino fragile, a tratti impalpabile, etereo, ma diretto, senza fronzoli, sapido di salsedine e profumato di macchia mediterranea. 

E qui ogni vino ci racconta una storia. Prima di tutto la storia delle sue origini, dei luoghi in cui è nato, delle terre genitrici e degli uomini produttori. 

Sono storie ricche di umanità e di tradizioni ed è bello lasciarsi sedurre da questi racconti, lasciarsi accompagnare in un viaggio immaginario attraverso le terre del vino.

Da Spotorno risalgo una via tortuosa per giungere in una terrazza sul mare dove è possibile ammirare dall’alto il paese nella sua interezza e il suo piccolo golfo. Anche se la giornata è grigia e invernale, lo spettacolo merita il viaggio! È un’emozione arrivare fin quassù.

La mia meta è la Cantina Sancio, una delle realtà vitivinicole in rampa di lancio, grazie alla sempre crescente qualità dei suoi prodotti. Siamo in una zona storicamente vocata alla viticoltura, dove i produttori investono nel territorio migliorando costantemente la qualità per affrontare nuovi mercati. 

Nata circa cinquant’anni fa per merito di Mario Sancio, l’azienda è cresciuta sensibilmente acquisendo nuovi appezzamenti di terreno, con il testimone passato al figlio Riccardo, degno successore e innovatore sempre con l’occhio fiero e attento alla terra natia.

Già dal parcheggio, dove ci aspetta Riccardo, si ammirano alcuni vigneti, mirabilmente esposti verso il mare; uno spettacolo con pochi eguali. I vigneti sono sparsi sulle colline adiacenti, mentre la nuova struttura è interamente interrata per non creare impatto con il paesaggio.

Con i suoi sei ettari vitati, l’azienda produce circa 45mila bottiglie annue, tra i classici bianchi liguri come il Pigato, il Vermentino, l’autoctono Lumassina, e i rossi come il Rossese.

La cantina si presenta ordinata, pulita e splendente, con serbatoi in acciaio a temperatura controllata e una pressa soffice che non dimostra per nulla la sua età: tutto è curato e conservato maniacalmente da Riccardo, professionista preparato e profondo conoscitore delle tecniche produttive. Egli ci racconta e si racconta con grande umanità ed entusiasmo: il suo modo di concepire e realizzare il suo vino traspare ancor prima di aver stappato la prima bottiglia: il suo racconto è piacevole, istruttivo, come tutto il percorso di visita.

Nel suo racconto è vivo l’orgoglio per aver creduto nella Lumassina, vitigno un tempo prigioniero della sua acidità; ora però i vini ai limiti dell’imbevibile sono un lontano ricordo grazie al lavoro maniacale in vigna, con forti diradamenti e rispetto del territorio impervio nei suoi terrazzamenti. 

Molteplici le versioni derivate dal Lumassina, da una versione ferma a quella frizzante, prodotta con il metodo Charmat, all’ancestrale MaRì, al metodo classico Lady Chatterley, fino al vino affinato in anfora. Durante la visita, rapito dall’entusiasmo di Riccardo, le mie papille gustative sono ansiose di poter degustare alcuni esempi di lumassina: ed ecco la versione frizzante “MaRì”, nata dal blocco della fermentazione (portando il mosto ad una temperatura di zero gradi) e poi dalla successiva rifermentazione in bottiglia sfruttando il residuo zuccherino: il vino non è sboccato e non è filtrato. Il risultato è particolare ed unico; vino fruttato, floreale con una piacevole sapidità e una sensazione minerale che lo rendono adatto ad accompagnare aperitivi e antipasti di mare leggeri.

Lady Chatterley , rappresenta il risultato finale del percorso sulla Lumassina: un metodo classico in evoluzione con permanenze sui lieviti da 20 a 30 mesi. Tutto il percorso produttivo è seguito da una società ed una enologa di Nizza Monferrato, profonda conoscitrice delle tecniche spumantistiche piemontesi.

A Riccardo piace ricordare come nel corso di una degustazione alla cieca proposta nella cittadina piemontese, degustatori eccellenti siano rimasti favorevolmente sorpresi dal risultato ottenuto, che vuole affermare il territorio di Spotorno e la storia di questa lady che porta alle estreme conseguenze la sua storia d’amore e la sua rivolta contro la società moderna.

Finalmente nel bicchiere, il tanto agognato spumante si presenta di un giallo paglierino dorato, brillante, con “catenelle” di bollicine molto fini e fitte: sicuramente segno distintivo di un metodo classico di qualità.

Al naso è abbastanza intenso, elegante, con sentori floreali di ginestra, note agrumate di lime e chinotto, balsamiche e di erbe aromatiche (rosmarino e timo) per poi evolvere su toni minerali di terra bagnata. In bocca presenta un corpo snello, è fresco vivo, sapido, verticale, corrispondente al naso con le componenti balsamiche e agrumate in grande evidenza, oltre alle caratteristiche note erbacee del vitigno; mostra persistenza contenuta ma lascia però in bocca un piacevole retrogusto molto fresco, che invita al riassaggio. 

Ben si presta ad iniziare il pasto, con antipasti anche complessi, primi di media struttura (un bel risotto bianco con una tartare di gamberi di Oneglia al pepe rosa), ma anche una bella frittura di paranza. 

Dopo questo excursus sulla Lumassina, posso affermare che questo vitigno è, tra quelli liguri, il più adatto alla spumantizzazione, per via del suo tenore acido, per la sua normale gradazione, e per la facilità di approccio al bicchiere.

E poi, da amante del Pigato quale sono, Riccardo non poteva non presentarmi le sue due versioni: una “base” che mi ha impressionato per la varietalità propria del vitigno; si presenta giallo paglierino vivace con riflessi dorati. 

Al naso è complesso, con note floreali e fruttate (pesca) seguite da delicati aromi di erbe aromatiche e di macchia mediterranea. In bocca è di corpo, intenso, fresco, sapido ed equilibrato. Finale persistente ed aromatico, impreziosito da un piacevole retrogusto mandorlato. Ottimo a tutto pasto con piatti della cucina di mare, dall’aperitivo al secondo. È infatti perfetto in abbinamento a degli aperitivi a base di crostacei o a grigliate di pesce, ma il meglio di sé lo dà senza dubbio con le classiche trofie al pesto genovese o con i pansotti al sugo di noci.

Nel secondo Pigato le uve provengono da vigneti situati in zona “Cappellania”, da qui il nome del vino. Si presenta di color giallo paglierino dorato scarico e molto luminoso; al naso è lievemente intenso ma elegante e con una complessità aromatica “marina”, che declina dai sentori iodati e salmastri tipici della riva del mare, alle note floreali (glicine e ginestra), erbe officinali e macchia mediterranea, con frutta tropicale (litchi e fruit passion), agrumi, per terminare con quelle balsamiche e minerali.

In bocca, nonostante i suoi 14 gradi è equilibrato, armonico, fresco vivo e sapido, abbastanza persistente e con una buona glicerinicità che rende il vino rotondo e morbido.

Vino che si presta a notevoli abbinamenti con piatti di buona struttura, e con formaggi a pasta morbida sia ovini che vaccini.

A conclusione del giro in cantina Riccardo si sofferma vicino a due anfore in ceramica prodotte da un’azienda di Vado: la Clavyer; contengono due vini che affineranno per alcuni mesi lasciati sulle fecce fini; ogni settimana si effettua un batonnage per rimettere le fecce in sospensione. 

“Abbiamo riscontrato note diverse. Non abbiamo voluto fare un vino “più buono”, ma sperimentare nuovi percorsi” dice Riccardo, vinificando 2 vitigni, la Lumassina e il Vermentino. Si tratta di vini non stabilizzati e che hanno ricevuto interventi minimi, senza aggiunta di solfiti durante l’affinamento.

“Estica” è il nome dato alla Lumassina nata nel 2019. Verso fine fermentazione viene trasferita nell’anfora ottenendo un vino più rotondo con un’acidità meno spigolosa. 

“Pramno” è invece il nome dato al Vermentino: richiama un vino dell’Antica Grecia nominato nell’Odissea dalla maga Circe che affermava avere proprietà taumaturgiche. Il risultato rivela una inaspettata nota balsamica, e un persistente aroma di albicocca sotto spirito molto particolare. 

Ma il trait d’union dei vini della Cantina Sancio sono il giusto tenore zuccherino e alcolico e la buona acidità fissa, la quale contribuisce ad esaltarne i profumi e a mantenerli nel tempo.

Franco Demoro

Per informazioni: 

Cantina Sancio – Via Laiolo, 73 – Spotorno (SV) Tel. +39 019743255 – cantinasancio@libero.it www.cantinasancio.it

Ti potrebbe piacere anche...

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *