Il Pigato: patrimonio della Riviera Ligure di Ponente

Dietro le vigne si ergono le Alpi Marittime che fanno da barriera alle correnti fredde e limitano le perturbazioni, davanti il mare: lo si annusa nel vento che ogni giorno soffia dal mare ai monti. La sua presenza caratterizza il clima, la terra e i suoi frutti.

Il Pigato è un vino bianco derivato dall’omonimo vitigno autoctono principe della riviera ligure di ponente, di cui, insieme al vermentino, costituisce la DOC più estesa della regione. Il Pigato è parente stretto del Vermentino, si tratta di un clone particolarmente fortunato. Per caratteristiche ampelografiche deriva da un clone di Malvasia. Mentre il Vermentino da il meglio di sé nei terrazzamenti che si affacciano sul mare, l’altitudine adatta per il Pigato è circa 300 metri, soglia che gli garantisce il calore ma anche una buona escursione termica notturna e una relativa vicinanza al mare, tutti fattori indispensabili per il corretto sviluppo dell’ampia gamma di profumi e della sua naturale acidità.
Dietro le vigne si ergono le Alpi Marittime che fanno da barriera alle correnti fredde e limitano le perturbazioni, davanti il mare: lo si annusa nel vento che ogni giorno soffia dal mare ai monti. La sua presenza caratterizza il clima, la terra e i suoi frutti. Il suo nome deriva dal termine dialettale ”pigau”, parola dialettale che significa “macchia”, riferita alla macchiolina color ruggine presente sugli acini maturi. È uno dei vitigni più affascinanti e misteriosi della Liguria, dalle origini incerte: sembra che sia originario della Tessaglia importato dai greci durante la colonizzazione della penisola. La sua introduzione in Liguria risale presumibilmente alla fine del 1600. Nel 1830 l’arciprete Francesco Gagliolo impiantò ad Ortovero, nell’entroterra di Albenga, il primo vitigno, che poi fu citato per la prima volta, nel Bollettino ampelografico del 1883. Il primo vino Pigato fu messo in vendita dal vignaiolo Rodolfo Gaggino intorno al 1950, al prezzo di 300 lire. Le sue zone di maggiore coltivazione sono quelle dell’Albenganese, dell’Imperiese, della Valle Arroscia. Viene coltivato sulle classiche terrazze liguri in versanti ben esposti al sole dove il terreno è ricco di argilla, la quale funge da spugna assorbendo l’acqua, per poi rilasciarne una parte nei caldi e siccitosi mesi estivi. Lasciando il mare di Albenga, verso l’entroterra, quando la strada inizia a salire incontriamo la frazione Salea, appena sessanta metri sul livello del mare addossata sulla collina. Qui la circolazione d’aria che dal mare risale le pendici è generosa, il terreno ha una mineralità accentuata che dona ai vini una sapidità, un’ acidità e una balsamicità che li rende longevi nel tempo. Qui si svolge ogni anno la rassegna del vino pigato. Proseguendo in direzione Pieve di Teco si incontra Ortovero, il comune che vanta la maggiore quantità di vino prodotta e dove sono presenti numerose aziende agricole e cooperative: è considerata la culla del pigato: la sua vicinanza al mare dona ancora al vino una sapidità molto pronunciata; tradizionale dolce della città sono
le pesche al pigato, ancora oggi celebrate in una sagra nel mese di agosto. Poco oltre, si entra in provincia di Imperia, la valle si restringe sul torrente Arroscia, le montagne fanno da catino e i campi diventano fazzoletti di terra ricchi di alberi di cachi, pesche e rosmarino. Siamo a Ranzo, tra ulivi e macchia mediterranea, sui terrazzamenti con i classici muretti a secco, i vigneti si falde di terra; i filari piantano le radici nella terra che sfuma dal rosso degli ossidi al bianco dell’ argilla. Qui esistono dei veri e propri “cru” come “Bonfigliara” o le “Russeghine” (per la terra veramente rossa): il vino che ne deriva, sapido e minerale, è l’espressione fedele di un terroir d’eccezione. Solitamente lo si vendemmia nella seconda metà di settembre. La vinificazione un tempo avveniva lasciando il mosto a fermentare sulle bucce, successivamente si è virato verso una vinificazione “in bianco” con diraspapigiatura e pressatura soffice. Alcuni produttori stanno riscoprendo l’antico modo di vinificare il pigato con risultati eccellenti. Lasciato maturare adeguatamente prima dell’imbottigliamento, deve poi affinarsi ancora in bottiglia per qualche mese prima di essere gustato nella sua pienezza di sapori. All’esame visivo si presenta di colore giallo paglierino, con sfumature e riflessi di colore dorato che ricordano il colore della spiga di grano o dell’olio. Ha una brillantezza intrinseca che conferma la naturale acidità del prodotto. Al naso si presenta persistente ed intenso, fruttato e floreale grazie ai profumi di pesca ed albicocca mature; spiccano inoltre note di agrumi, miele ed un sentore tipico dei profumi della macchia mediterranea (ginestra); sentore principale però è quello di erbe aromatiche (salvia, rosmarino, timo e a volte basilico). Sul palato ha corpo, struttura, prevale un sapore sapido, secco e fruttato, di buona acidità e caldo, persistente; ha una discreta alcolicità con note minerali, e nel finale si riscontra la mandorla amara oppure il nocciolo delle pesca. Il vino può essere consumato giovane, entro i primi tre anni di vita, anche se, riprendendo l’antico sistema della vinificazione sulle bucce, poc’anzi descritto, il pigato ottiene una grande personalità che sfida il tempo, con splendide note minerali che ricordano, senza esagerare, i grandi vini bianchi francesi della Loira. Attualmente in vigna si tende a ridurre drasticamente l’uso di pesticidi e fitofarmaci per conservare il più possibile gli aromi dell’uva. È un vino che negli ultimi anni ha ottenuto, sulle più importanti guide dedicate, molti riconoscimenti, grazie al lavoro di aziende storiche, ma anche emergenti, che trattano il prodotto con tecniche enologiche innovative. Una cantina ha iniziato, quest’anno, a spumantizzare con metodo charmat il pigato in aggiunta ad una piccola percentuale di pinot nero.

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