Dolceacqua: vino, marchesi e michette

Sono arrivato a Dolceacqua, la prima volta, 1976, estate, avevo vent’anni, per il concerto di un, anche lui giovane, Angelo Branduardi. Era appena uscito il suo LP La Luna (altra epoca, il vinile non era vintage, era la norma), avevamo fondato, da pochi mesi, una delle prime radio libere, Radio Liguria International e con il Revox (all’epoca registratore all’avanguardia) e la ragazzina dell’epoca ci eravamo spinti sotto il castello dei Doria, vero custode del borgo. La musica di Branduardi, accompagnata da una bottiglia di Rossese di Dolceacqua, doc da appena 4 anni (fu il primo vino ligure ad aver ottenuto il prestigioso marchio di garanzia), fece si che il ritorno a casa fu lungo, e fantastico, del resto il vecchio Maggiolone tanto forte non poteva andare…Ok, dopo l’outing andiamo avanti. Mai un nome fu più sbagliato: Dolceacqua per un borgo diventato simbolo di eccellenza enologica, qualche cosa non torna, almeno al primo ascolto. E invece no. Il significato popolare del nome del paese, “acqua dolce”, è di antica origine e deriverebbe dal latino “villa dulciaca”, fondo rustico di età romana ottenuto dal nome personale “Dulcius” (dolce), trasformato in seguito in “Dusäiga”, attuale nome dialettale, e nella forma “Dulcisacqua”, denominazione ufficiale nei primi documenti del XXII – XIV secolo. Un’altra interpretazione accredita l’origine del paese ai Celti, che l’avrebbero chiamato “Dussaga”, modificato poi in Dulsàga e infine in Dolceacqua. Sia come sia, Dolceacqua è un pezzo di anima, di cuore, di suggestione ligustica. Un borgo, tra Provenza e Liguria, dove i Celti dominavano prima di essere “cacciati” dalle falangi romane verso l’Irlanda.

Dolceacqua, Bandiera Arancione del Touring Club, costruita tra le acque fresche e saltellanti della Val Nervia e le foreste secolari, è un agglomerato di sassi che la sapienza, la fantasia, la tecnica dell’uomo ha plasmato come una pigna di case, castello, ponte. E che castello, e che ponte! Il primo documento che cita Dolceacqua risale al 1151, quando i conti di Ventimiglia (si, gli stessi che diedero i natali al salgariano Corsaro Nero) fecero costruire il primo nucleo del castello alla sommità dello sperone roccioso che domina strategicamente la prima strettoia e la biforcazione della valle verso Rocchetta Nervina e la val Roia da un lato e la media e alta val Nervia dall’altro lato, controllandone gli accessi. La storia di Dolceacqua si identifica con le vicende del castello e della signoria dei Doria che vanta tra i molti personaggi Caracosa, madre dell’ammiraglio Andrea Doria; la dinastia entrata sotto la protezione sabauda, dal 1652 fu a capo del Marchesato di Dolceacqua.

Nel corso dei secoli seguenti, ai piedi del castello, acquistato nel 1270 dal capitano del popolo genovese Oberto Doria, il vincitore dei Pisani alla Meloria (e “inventore”, con la sua ciurma, della farinata di ceci, ma questa è un’altra storia), e ampliato dai suoi successori, venne sviluppandosi l’abitato della Terra, seguendo le linee di livello ai gironi concentrici attorno alla rocca e collegati fra loro da ripide rampe. L’acqua del Nervia fu portata ad alimentare le fontane ed a irrigare gli orti. Nella metà del Quattrocento la crescita dell’abitato, che aveva fatto del percorso di via Castello il principale asse viario urbano, portava alla crescita del nuovo quartiere del Borgo, al di là del torrente Nervia; i due nuclei vennero collegati da un elegante ponte a schiena d’asino. Il quartiere Terra, esaurito lo spazio disponibile per la sua espansione, crebbe in altezza mediante la sopraelevazione delle case, che raggiunsero anche i sei piani; oggi conserva intatta la sua atmosfera medievale presenta angoli di grande suggestione, in cui il tempo sembra essersi fermato.

Torniamo al ponte: “…il luogo è superbo, vi è un ponte che è un gioiello di leggerezza…”, scrisse Monet, folgorato dalla Riviera. Alle fine del 1883, in compagnia di Renoir, per soli quindici giorni Monet è nell’estremo Ponente ligure. Si innamora dei luoghi, appena rientrato a Giverny, manifesta subito il desiderio di ritornarci.

Il 23 gennaio 1884, Monet è di nuovo a Bordighera. Durante questo suo nuovo viaggio “vagabondò” per la Riviera spingendosi fino nell’entroterra della Val Nervia, fino a Dolceacqua, dove dipinse, più volte, da diverse visuali, il ponte e il castello. Ma Dolceacqua è anche la patria di Mario Raimondo, artista noto in tutto il mondo, col nome di “Barbadirame”, discepolo di Picasso, un vero maestro del ‘900, mancato a 87 anni nel 2010.

E veniamo ad una tradizione, quella della Michetta, dolce tipico di Dolceacqua che si può fregiare della De.Co., Denominazione Comunale. Lo si può trovare tutti i giorni in tutti i negozi di alimentari del paese, con una storia che affonda le sue radici nella leggenda, nello “Jus Primae Noctis”, in una drammatica vicenda che vide una splendida ragazza, Lucrezia, che non cedette alle pretese del Marchese sino a morirne e, di conseguenza, a provocare la rivolta del popolo sino all’abolizione dello “Jus Primae Noctis”. Per ricordare Lucrezia le donne impastarono farina, uova, zucchero ed olio per formare una sagoma di pasta ispirata al sesso femminile: “Sachì le che che ghe va (questa è quella che ci vuole), la chiameremo michetta”. Una volta cotte si precipitarono in piazza gridando: “Omi, au, a michetta a damu a chi vuremu nui (uomini, adesso la michetta la diamo a chi vogliamo noi)”.

Del vino abbiamo accennato all’inizio, con i ricordi giovanili, ma certo il Rossese di Dolceacqua (oggi si può chiamare anche semplicemente Dolceacqua), è frutto di sapienza e tradizione. A portare in Riviera il vitigno furono, probabilmente, i greci, nel porto di Marsiglia. In Provenza si diffuse col nome di tibouren, in Liguria con quello di Rossese. Andrea Doria elesse il Rossese di Dolceacqua quale vino festivo della sua flotta; anche Napoleone ebbe il piacere di conoscerlo, ospite della Marchesa Doria alla fine del Settecento. Lo apprezzò al punto di inviarne qualche botte a Parigi, mentre molte altre lo confortarono nel corso della campagna italiana.

Un rapporto speciale lega storicamente Dolceacqua al Principato di Monaco; le famiglie Grimaldi di Monaco e Doria di Dolceacqua, dopo anni di vicissitudini e scontri, suggellarono nel 1491 una pace duratura grazie al matrimonio tra Francesca Grimaldi di Monaco e Luca Doria di Dolceacqua. Il famoso polittico di Santa Devota, realizzato da Ludovico Brea e custodito nella chiesa parrocchiale di Dolceacqua, fu voluto proprio da Francesca Grimaldi per suggellare questa nuova era. Il 21 giugno scorso S.A.S il Principe Alberto II di Monaco è stato insignito della cittadinanza onoraria di Dolceacqua, a testimonianza di un legame che si perpetua ormai da 500 anni.

Stefano Pezzini

IL RITORNO DI MONET

Da maggio a fine luglio 2019 due opere dipinte da Claude Monet nel 1884, ritorneranno in “situ”, nei luoghi in cui sono stati dipinti. Con l’evento “Impressioni Liguri – L’emozione del ritorno” due dei capolavori  “Le Château de Dolceacqua “ e la “Vallée de Sasso” di proprietà del Museo Marmottan di Parigi potranno essere ammirati per più di tre mesi nei due luoghi più significativi di Dolceacqua e di Bordighera. Un evento, almeno per la piccola comunità di Dolceacqua, unico ed irripetibile, considerando che ad affiancare l’opera prestata dal Marmottan, ci sarà un’altra opera del maestro dell’impressionismo, che sarà prestata da S.A.S. il Principe Alberto II di Monaco, dati gli ormai solidi legami con la comunità dolceacquina. Claude Monet, affascinato da questo lembo di terra e dalla luce e dalla natura della riviera, viene una prima volta con Renoir nel 1883 per poi tornare da solo, l’anno dopo. Pensa di fermarsi solo per un brevissimo periodo ma ci resterà tre mesi durante i quali realizzerà oltre 40 opere. In un giorno di vento, si accoda ad una gita organizzata da Bordighera nell’entroterra e scopre Dolceacqua dove andrà due volte e realizzerà quattro tele. Il Ponte Vecchio lo colpisce in modo particolare, come si evince da una sua lettera scritta alla moglie che racconta la visita a Dolceacqua “…il luogo è stupendo, vi è un ponte che è un gioiello di leggerezza”. Le opere esposte saranno accompagnate da allestimenti multimediali e da una collezione di foto del periodo in cui le opere furono dipinte; l’intento è quello di far vivere non solo l’emozione del ritorno ma anche far comprendere come il paesaggio che ha cosi colpito il pittore francese sia ancora integro (in particolare per Dolceacqua) e come il territorio, i suoi prodotti, la sua storia sia ancora percepibile oggi come allora.

Prof. Aldo Herlaut, curatore dell’evento

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