Non dire bugie. Mangiale!

Impastate, e festeggiate, soprattutto nei primi mesi dell’anno, le bugie sono semplici frittelle croccanti, altrimenti chiamate, un po’ ovunque in Italia, “chiacchiere”, o “galani”, o “cenci”, o “frappe”, o “crostoli”. In Liguria prendono anche il nome di nastri a Imperia-Oneglia, di cucarde a Dolceacqua (poiché annodate tipo fiocco), di mirulìn verso la Lunigiana… Ed in Belgio ecco le croustouille, in Francia le merveilles, in Spagna le orejas… Tipicamente carnevalizie e conviviali, prima che il mercoledì delle ceneri schiuda le astinenze pre-pasquali, le bugie originano dalle frictilia romane distribuite in occasione dei trasgressivi Saturnali decembrini, e sovente propongono un impasto di sfoglia ‘00’ tagliato a rombi/rettangoli. Marco Gavio Apicio, gourmet, e forse saggista, cui ho dedicato lunghi studi1, nel De re coquinaria accenna a “frittelle a base di uova e farina di farro tagliate a bocconcini, fritte nello strutto e poi tuffate nel miele”, una ricetta che presumo sia piaciuta all’Artusi. Da gennaio a giugno, come noto, le ruralità italiane hanno ovunque mixato, con audace sincretismo, motivi pagani e cristiani, mai trascurando il carnevale e imbandendo cicerchiate, pasta rustica di vario formato, polpette, castagnacci… In Valle Arroscia, dove l’area ingauna ascende all’imperiese, durante il carnevale i “mascheri” (giovani coperti da consunte vesti femminili, e col viso annerito) battevano agli usci reclamando uova, olio, vino… Col raccolto le fanciulle organizzavano proprio frittelle salate e dolci, da divorare festosamente nei “canissi” (baracche rifugio nella campagna, tipo tecci, dove a furia di baci furtivi fiorivano anche amori e talvolta matrimoni). A metà Quaresima, poi, i giovani gareggiavano alla pentolaccia, in premio un salame, e dopo Pasqua ecco l’albero della cuccagna. Infine, dentro il falò (ö scönfeugö) di San Giovanni Battista s’arrostivano patate e cipolle – depredate da quegli stessi giovani negli orti migliori – , che poi confluivano dentro un pantagruelico condijön. Farcite o no, fritte in olio (le frictilia friggevano ovviamente nel grasso di maiale) e cosparse di zucchero a velo, le bugie ieri furono su alcuni territori, ad esempio l’Emilia, anche un apprezzato finger food “di corte”, ed oggi si abbinano piacevolmente ad un Moscato spumante, che con un po’ d’effervescenza, grazie alle bollicine d’anidride carbonica, sciacqui e “sgrassi” la bocca… Ma i riti gastronomici del Carnevale, oltre a comprendere molti altri dolci (gustosi compagni di carri e maschere), a Genova includevano ravioli “da farsene una panciata”, braciolette di maiale, formaggi, pasticciotti a buon boccone2, s-ciumette d’albumi, frutta fresca, e vini rossi di corposa struttura…, delizie in grado di sedurre chiunque. Giorni di spensieratezza per non dire di sovvertimento, da Arlecchino a Pulcinella, da Capitan Spaventa della Commedia dell’arte a Baciccia della Radiccia col suo sodale Barudda, da Cicciulìn di Savona a Becciancìn di Loano, da Nuvarìn der Casté di Cairo Montenotte a Bacì l’Inciaštru di Pieve di Teco. Ognuna di queste allegorie, e di questi “burattini” (il soldato erudito, il mattacchione, il marinaio prodigo, il giardiniere burlone, il giullare di corte, il combinaguai), beninteso meriterebbe un articolo. Giorni di danze e baccanali, di feste esclusive ad invito – ma talora a pagamento – così come di feste per tutti, di spassose conversazioni in rima fra villici e patrizi, di performance improvvisate, di spettacoli sovente osé, finanche di “mimi” che travisandosi il viso compievano… delitti, rivelando la propria vera natura di criminali (a Genova un bando quattrocentesco esortava alle denunce, dietro premio d’un fiorino). Di quei carnevali molto – nel bene e nel male – è andato perduto, ma le bugie sono certamente sopravvissute, contando su adepti della dolcezza che, di generazione in generazione, si esercitano a dovere fin da piccoli… In effetti, molto meglio mangiarne che dirne, molto meglio non contrariare l’Altissimo e… la mamma. 1) la sua biografia di miliardario gastronomo è ampiamente riassunta nel mio “Tempo Mediterraneo. Quel che resta di Apicio in cucina”, ed. La vigna, Genova, 2010. 2) si tratta di ricchi tortelli (bocconetti), farciti di canditi e fritti. Nelle Marche (calcioni) il guscio di pasta è più consistente.

Umberto Curti

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