Un’antica tradizione tenuta viva da un gruppo di agricoltori volontari: ecco la casa dei semi e il mandillo dei semi, luogo di conservazione delle tradizioni antiche e giornata di scambio delle antiche sementi liguri e della cultura della tradizione agricola locale.
Come si fa a tener vivo un qualcosa che vive letteralmente sottoterra? Essendo l’essenziale invisibile agli occhi (cit) il cittadino guarderà al dito mentre l’agricoltore osserverà la Luna, come da tradizione. Sempre di tradizione si tratta, infatti, quando si parla di sementi, antiche e non modificate in laboratorio, ovvero una delle basi fondanti del comparto agricolo, enogastronomico e agroalimentare italiano in generale. Tornando alla domanda primaria, come si fa a tener vivo un qualcosa tendenzialmente invisibile che nel suo non-apparire fonda la struttura economico sociale e sanitaria di un intero settore? Semplice, tornando alle origini, ovvero, al baratto.
PER FARE UN TAVOLO CI VUOLE IL LEGNO…
L’Italia è leader nel settore di produzione sementiera, con oltre 240.000 ettari coltivabili sul territorio censito ufficialmente (leggasi: amatori a parte, nda) e altrettanti 39.000 ettari destinati a orti e, per parlare local, alle fasce. Si tratta di un fatturato da circa 1 mld di euro all’anno, hobbisti e amatori dell’orto della domenica esclusi che si assesterebbero su circa il 34% della popolazione totale, il tutto favorito dall’entusiasmo pandemico e del periodo che ne è subito derivato. Questo si aggiunge, però, a un dato non del tutto positivo derivato dall’andamento negativo dell’approccio “young” al comparto agricolo: un po’ per naturale decrescita della popolazione italiana e un po’ dovuto al nuovo spopolamento delle aree periferiche alle città, prese d’assalto nella prima fase della Covid 19. Secondo il rapporto biennale “Giovani e Agricoltura” della Rete Rurale Nazionale, nel 2022 erano circa 15 mln i giovani nella fascia 15-39 anni regolarmente occupati in ambito agricolo, -12% rispetto al 2013 e addirittura -21% rispetto ai due decenni precedenti. Magia dello smart working applicato a nuove tipologie occupazionali che, se smettono di essere appunto smart, diventano impraticabili in aree extra urbane? Pochi incentivi e poche politiche di tutela? La ri-produzione a scopo di commercializzazione e la commercializzazione di prodotti sementieri sono disciplinati in attuazione dell’articolo 11 della legge 4 ottobre 2019 con relativo e seguente Decreto Legislativo del 2 febbraio 2021, n. 20 che intende adeguarsi alle normative europee, in particolare il regolamento (UE) 2016/2031. Controllo, restrizioni, registrazione e certificazione “dall’alto”, ispezioni e, soprattutto, censimento peculiare delle tipologie genetiche: il tutto atto alla preservazione di biodiversità possibilmente e naturalmente affette da patologie, alla preservazione dell’intero ciclo delle sementi in Italia, dalla produzione alla vendita, al fine di garantire che siano di alta qualità, sicure per l’ambiente e per le coltivazioni e per promuovere una maggiore competitività nel settore agricolo. La replicazione alla vecchia maniera, insomma, basata sul baratto interno ed esterno delle sementi locali è argomento spinoso da qualsiasi parte la si guardi. Per esempio, dal punto di vista delle case dei semi.
LE CASE DEI SEMI
Secondo il decreto, la replicazione delle sementi, ovvero il processo di produzione di nuove sementi partendo da quelle già esistenti per mantenerne e garantirne il totale rispetto organolettico della biodiversità, diventa complicato a norma di legge per i piccoli produttori e, nel caso della Liguria, dei piccolissimi, quasi minuscoli, agricoltori. Resistenza e resilienza, termini identificativi di chi spesso ricava prodotto da terre impervie, devono scontrarsi con una terminologia ben più restrittiva: autorizzazione delle autorità competenti, registrazione della varietà presso il Registro delle Varietà di piante da seme gestito dal MIPAAF, rigidi controlli qualità, tracciabilità e adeguamento obbligatorio a innumerevoli norme fitosanitarie per citarne alcuni. Ovviamente, l’esistenza di una legge apposita viene giustificata dalla necessità inopinabile quando si parla di agricoltura estensiva e modelli di business che di certo non fanno invidia all’alta moda e al Made in Italy in generale ma che, come spesso succede quando si parla di macro-regolamentazioni, cocciano e non poco sulla micro/nano produzione che, nel 99% dei casi, in Italia fa rima con biodiversità specifiche di aree ancora più specifiche. Da necessità…altra necessità: la preservazione delle Case dei Semi come organismo di raccolta, una vera e propria banca delle sementi ma anche di diffusione delle buone pratiche, della tutela delle specie autoctone e del know how agricolo tradizionale. Sputiamo fatti e numeri: esistono oltre 1.750 banche o case dei semi in tutto il mondo, sotto forma di istituzioni, istituti genetici e reti comunitarie. Alcuni sono gestiti da centri di ricerca veri e propri, molte sono costituite da iniziative della comunità locale. A qualsiasi longitudine e latitudine si parla di preservazione dei semi: Germania, Francia e Spagna in Europa ma anche le Isole Svalbard in Norvegia ospitano una delle banche di raccolta più famose al mondo, appositamente progettata per tutelare e conservare specie da tutto il mondo in un luogo assolutamente sicuro, incontaminato e (molto) sperduto. Altra storia quando ci si sposta in paesi meno industrializzati dell’Asia meridionale o dell’America Latina come India e Nepal o Brasile, Messico e Perù, dove le case dei semi vengono tendenzialmente gestite al femminile e che sono davvero l’asticella su cui si basa la sopravvivenza di intere comunità. In Italia, le case dei semi sono regolate in reti comunitarie, come il Coordinamento Europeo Liberi Semi e reti regionali, che promuovono la biodiversità agricola locale, Banche genetiche istituzionali, come il Centro di Ricerca per la Genomica e la Bioinformatica a Fiorenzuola d’Arda (PC) con ulteriori esempi di strutture universitarie e governative, la SIS, Società Italiana delle Sementi di Bologna e le Associazioni locali, coordinate e gestite da gruppi di agricoltori e cittadini che si organizzano per conservare varietà antiche e tradizionali. Ultimi ma non ultimi arriviamo noi in Liguria.
LA LIGURIA DEI SEMI
La Liguria: terra ostile per chi vuole vivere di agricoltura ma ricchissima di biodiversità; territorio geloso dei suoi prodotti per conformazione e toponomastica, carattere distintivo dei suoi custodi illustri, gli agricoltori liguri. Una lingua di terreno che racchiude la cultura antichissima della coltivazione di diverse tipologie di prodotti e, di conseguenza, sementi come i cereali, il granturco, gli ortaggi, le verdure, la frutta, le piante aromatiche, i vitigni e l’ulivicoltura. Chi più ne ha, più ne metta (in poco spazio). Quasi tutte le tipologie sono tutelate e disciplinate sotto l’egida di marchi e certificazioni quali consorzi (leggasi, per esempio, basilico genovese DOP), marchi collettivi (leggasi, per esempio, prodotti Genova gourmet o antichi ortaggi del Tigullio), DOP, IGP, DOC. A livello istituzionale, i bandi esauriti all’interno della misura del PSR 2014/2022 per la Liguria hanno visto l’attuazione di ben 22 progetti legati all’identificazione, alla certificazione e allo studio delle biodiversità locali. All’attivo si hanno due registrazioni all’ Anagrafe Nazionale per la Biodiversità Agricola: il Grano Avanzi 3-23 e la patata quarantina. “Solo su Genova abbiamo ben 4 progetti in via di conclusione legati a queste tipologie di intervento conservativo” sostiene il direttore di Coldiretti Genova, Paolo Campocci “un importante progetto sulle coltivazioni di basilico, due sugli ortaggi autoctoni liguri ed uno sui grani antichi”. Il processo, quindi, è graduale, si sta arrivando, dopo una prima fase di identificazione e studio, all’evoluzione naturale che sarà da identificarsi obbligatoriamente in una struttura accreditata a livello ufficiale. Perché il problema resta proprio quello della struttura: esistono realtà istituzionali, eccellenze assolute a livello nazionale e internazionale adibite a centri di studio ma non di conservazione. Basti pensare al Cersaa di Albenga, Centro di Sperimentazione e Assistenza Agricola che dal 1961 studia, sviluppa e innova in ambito agroalimentare o all’ Università di Genova con dipartimenti di assoluto prestigio nello studio e classificazione delle sementi come il DISTAV. Ma di banche ancora non si parla.
IL MANDILLO DEI SEMI
Che la Liguria e il resto del mondo siano legati da un filo neanche troppo sottile, specialmente quando si parla di banche e finanziamenti, è cosa nota. Quando si parla di sementi, in un certo senso, anche. Infatti, sulle alture del chiavarese, in zona Rezzoaglio si trova la casa dei semi fortemente voluta (e costruita) dal Consorzio della Patata Quarantina: una struttura adibita a museo, dove si incontrano le antiche sementi delle comunità montane liguri, con ovvio focus sulla regina incontrastata della Valle, la patata quarantina a cui, per altro, lo stesso consorzio ha dedicato un vero e proprio museo finanziato dal Parco della Val d’Aveto. “La casa dei semi è, prima di tutto, un luogo di conoscenza e promozione” racconta Fabrizio Bottari, presidente del consorzio patata quarantina “facciamo regolare attività nelle scuole e invitiamo i turisti e gli interessati a conoscere questa realtà: dall’esposizione permanente del museo con riproduzioni in cera delle tipologie più conosciute di patate dal mondo alla casa dei semi vera e propria, dove presentiamo, esponiamo e raccontiamo le sementi di antico lignaggio locale” Una realtà piccola che però ha fatto grandi cose: innanzitutto la creazione vera e propria dei luoghi fisici nel 2023 e 2024; la promozione internazionale delle antiche culture agricole per cui “abbiamo ospitato agricoltori da diversi paesi del mondo e addirittura una delegazione di una cooperativa del Mali composta da 5000 donne si è interessata alle nostre sementi: la loro casa dei semi è infinitamente più grande della nostra, anche perché dalle loro strutture dipende davvero la sopravvivenza ma è bello pensare che, per esempio, una cipolla di Zerli adesso possa essere piantata nel Mali”. Da questa attività di divulgazione arrivano anche gli eventi, come il Mandillo dei Semi, tradizionale giornata di baratto delle sementi tra agricoltori che, da quest’anno ha trovato casa a Santo Stefano d’Aveto. “Dopo 13 edizioni itineranti tra le Valli, abbiamo scelto la Val d’Aveto come luogo della manifestazione 2025. Si tratta di una sorta di protesta pacifica e civile, nel pieno rispetto delle leggi. Le stesse leggi che rendono spesso e volentieri le attività dei piccoli agricoltori impossibili. Infatti, in questa giornata chi produce e ,di conseguenza, possiede le proprie sementi ha la possibilità di scambiarle con altri agricoltori, così da rafforzare le specie e le usanze delle coltivazioni montane” continua Bottari “una giornata intera dove il denaro viene abolito e si torna a praticare il baratto tra produttori che conoscono direttamente ciò che propongono perché lo coltivano in prima persona”. Il Mandillo dei Semi, infatti, è una manifestazione aperta a tutti, agricoltori e amatori e vede decine di produttori da tutta la Liguria raggrupparsi in un unico luogo presentando le proprie tipicità: dalle rose, agli ortaggi, dal cavolo navone (biodiversità unica del nostro territorio) agli agrumi, il Mandillo dei Semi è stato un enorme successo anche per questa edizione. Sull’importanza della circolazione delle sementi non vi è dubbio alcuno: la circolazione delle varietà è una delle prime azioni che l’uomo ha compiuto in agricoltura non soltanto per la diversificazione delle produzioni ma anche per il rafforzamento delle specie. Cambiando il luogo, si possono creare nuove varietà e rinnovare “la terra” che, spesso, coltivata per lungo tempo con la medesima piantagione, semplicemente, si esaurisce. Quale può essere, quindi, il futuro della Liguria? Resistenza e resilienza dicevamo, soprattutto al cambiamento climatico che rende, senza dubbio, le attività agricole strutture di business a dir poco rischiose; studio e metodo, come quello applicato dai bandi istituzionali in svolgimento che garantiscono un primo passo concreto verso la creazione di una struttura certificata che possa mettere tutti d’accordo; testardaggine e determinazione, come dimostrato dal supporto delle Associazioni di Categoria e dai produttori aderenti al Consorzio della Patata Quarantina che hanno materialmente realizzato il primo luogo fisico adibito alla diffusione della cultura delle antiche sementi; mugugno e sentimento, perché se è vero che chi no cianze no tetta solo chi è davvero innamorato del territorio, chi lo custodisce come casa propria può mettere le basi per un progetto di seria divulgazione delle antiche tradizioni agricole. Anzi, può piantare un seme, il primo.
Articolo di Hira Grossi