La frutta candita in Liguria

“Le confetture e le conserve in zuccaro sono le più eccellenti che s’acconcino in alcun’altra parte del Mondo.”

Nelle parole di Gio Domenico Peri, scritte nel 1697, c’è la sintesi dello storico apprezzamento dei canditi di Genova. Basta scorrere qualche antico trattato di cucina o scalcheria per ritrovare, fra i prodotti più esclusivi e ricercati, queste specialità a base di frutta e zucchero che i liguri impararono a confezionare, con insuperabile maestria, molti secoli addietro.

Gli ingredienti fondamentali di una così sorprendente alchimia sono la frutta, lo zucchero e la sapienza: se uno dei tre viene meno non si fa nulla. La frutta è la sostanza, la materia viva da rendere immortale; lo zucchero è il conservante che, oltre a regalare l’eternità, fissa e arricchisce il sapore; infine, ma tutt’altro che ultima, la sapienza dell’arte confettiera, scienza raffinatissima basata su formule puntuali seppur soggette a diverse variabili che solo il maestro confettiere sa governare.

Chi ha qualche decennio sulle spalle sa bene che la frutta candita è la delizia sopraffina che, a Natale, non può mancare sulle tavole liguri. Occorre, però, chiarire che stiamo parlando del prodotto di eccellenza scaturito, come detto, dalle mani dei confettieri, raffinatezza che nei secoli è stata il dono rinomato da destinare a sovrani, nobili di ogni rango, papi, cardinali e personaggi di rilievo. I trionfi di pasta di zucchero, arricchiti da splendide composizioni di frutta candita, troneggiavano sulle tavole dei banchetti più esclusivi, mostrandosi come autentici simboli di raffinata opulenza da ostentare agli ospiti. Più di recente si è assistito, via via, a una più larga diffusione, se non altro fra i tanti che, almeno a Natale, desideravano portare in tavola l’assaggio di un prodotto così nobile e prezioso.

La frutta da candire dev’essere di primissima qualità: matura al punto giusto, sana nella polpa e priva di trattamenti, poiché in molti casi, come per gli agrumi, si candisce proprio la buccia. Dunque la scelta dell’ingrediente base è decisiva per giungere al miglior risultato: naturalmente il lavoro di canditura segue l’andamento della stagione di raccolta della frutta. Il maestro confettiere è l’artefice di questa autentica magia e deve seguire tutta la lavorazione secondo i ritmi imposti dai vari stadi del processo: è lei o lui a selezionare la frutta, snocciolarla, prepararla a dovere, misurare i valori degli sciroppi, decidere i tempi di riposo nelle vasche, regolarne le temperature ecc. Il tempo è la vera costante di tutta la lavorazione, tempo che non può essere ingannato senza comprometterne il buon risultato finale. Già, il risultato finale: la frutta che vince il tempo conservando aspetto e sapore simili al fresco.

C’è ancora una variabile che condiziona l’esito finale: l’esperienza dei singoli confettieri, intesi come maestri di quella casa madre le cui ricette, fissate nel tempo, vengono tramandate seguendo precise indicazioni. Proprio quello stile, quella mano, quei minimi dettagli del processo fanno la differenza e, per fortuna, consentono al cliente di scegliere secondo le proprie preferenze. 

Dobbiamo tornare a un tempo in cui il lavoro del canditore, maestro confettiere, sfiorava la magia, per conferire a un prodotto deperibile la forza vitale e il sapore soave dello zucchero, spezia non certo economica, almeno fino ai primi decenni dell’Ottocento, quando iniziò il vero sfruttamento della barbabietola, nonostante si conoscesse il processo di estrazione già da metà Settecento. Sarà nei decenni successivi che la frutta candita diventerà anche un prodotto industriale alla portata di tutti, ciò che consentirà all’arte dolciaria di inserirla nei vari preparati natalizi senza stravolgerne i costi.

Eppure tutto era iniziato per conservare, accantonare, assicurarsi la scorta di un prodotto deperibile che, se si fosse reso in qualche modo durevole, avrebbe potuto fermare il tempo e, di conseguenza, percorrere lo spazio diventando commerciabile. E come spesso la storia ci ha insegnato, col progresso e l’affinamento delle tecniche, i prodotti nati dalla necessità possono diventare delizie irrinunciabili anche in un tempo in cui si adottano nuovi sistemi di conservazione. Casomai il problema sta nell’adattare la scienza dell’arte confettiera all’attualità, per esempio vincendo la crescente difficoltà di reperire frutti adatti alla canditura. Infatti, il processo in sé è quasi un test di qualità per la materia prima che, se non ha le naturali caratteristiche del frutto in “purezza”, prima o poi, durante la lavorazione, riserverà sorprese sgradite capaci di comprometterne il buon esito.  In Liguria siamo fortunati, poiché esistono ancora confettieri storici che continuano a produrre frutta candita con la stessa cura di qualche secolo fa, offrendo prodotti simbolo di un’arte che tocca forse il suo apice proprio nel processo di canditura della frutta.

Farmacopea, speziaria e confetteria

C’è uno stretto legame fra le arti dello speziale e del confettiere, anzi, l’una pare avere in qualche modo stimolato la nascita dell’altra. Se è vero che la conservazione di frutta fresca e secca, oltre a spezie e ad alcuni ortaggi, già qualche millennio addietro si eseguiva mediante l’immersione nella melassa, nel miele e, in seguito, nello sciroppo di zucchero, è altrettanto documentata la consuetudine antica di considerare le sostanze zuccherine alla stregua di medicamenti o come “involucri” gradevoli per agevolare l’assunzione di prodotti curativi. L’insieme delle due cose e la predilezione degli ordini religiosi per la cura della salute e la creazione di appositi medicinali, favorì, probabilmente, l’affinamento delle tecniche di lavorazione dello zucchero, al punto tale che, nel passaggio dalla farmacopea alla confetteria, ovvero dalla cura al piacere, soprattutto fra gli ordini religiosi femminili emersero vere e proprie eccellenze capaci di esprimere produzioni di altissimo livello. A tal proposito scrive così Luigi Tommaso Belgrano, nel suo Della vita privata dei Genovesi (Genova, 1875): […]  zuccate, pignolate, cotognate, paste di persiche, confetti, e susine in zucchero provvedute dalle monache di san Silvestro, le quali per la squisitezza di siffatte preparazioni si mantennero in nominanza fino ai dì nostri. Altrettanto potrebbe dirsi per le monache di San Sebastiano, a Genova, fornitrici, ancora nell’Ottocento, della nobile famiglia Spinola di Pellicceria, specializzate nella produzione di eccellenti biscotti.

Canditi: regali prestigiosi

Per dare un’idea del prestigio dei canditi di Genova, quale regalo esclusivo, ecco un breve accenno a un donativo rivolto a Papa Innocenzo XII, nel 1698, in occasione del suo viaggio da Roma a Nettuno:  “Da monsignor arcivescovo Corsini, tesoriere di Nostro Signore, come soprintendente delle fortezze pontificie.  Due casse foderate di velluto verde tutte guarnite con gran merletto d’oro ripiene di canditi di Genova.”

Sergio Rossi

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