Di certo, per una volta, c’è l’origine del nome, una derivazione francese, dovuta forse alle armate napoleoniche che in Val Bormida, fine ‘700, erano di casa (anche sulla costa, ad onor del vero). Il “subricco”, vanto della gastronomia di Dego (non a caso ha ottenuto la De.Co., Denominazione Comunale), dovrebbe avere (il condizionale, anche se in questo caso la certezza è quasi totale, è d’obbligo come sempre) origine dal suo metodo di cottura, “sur la brique”, sui mattoni roventi in italiano, subricchi nel dialetto di Dego. Ad avvalorare la tesi dell’origine napoleonica (ma “imbastardita” dalla contaminazione italiana, vedremo come) l’elemento principale della ricetta: la patata, arrivata dal Nuovo Mondo, “sdoganata” a livello alimentare dal farmacista e agronomo Parmentier, che per primo intuì che non si doveva mangiare cruda, ma cotta, bollita o alla fiamma e s impegnò notevolmente per sfatare il mito che le patate fossero portatrici di lebbra. Per farlo, ma questa è un’altra storia, seppure curiosa e interessante, fece piantare campi di patate nei dintorni di Parigi, in particolare a Sablons, e mise delle guardie a sorvegliarli durante il giorno, per fare credere al popolo che il raccolto fosse estremamente prezioso. Di notte, le guardie si allontanavano intenzionalmente, permettendo alla gente di rubare le patate. Questo piano si basava sull’idea che ciò che è sorvegliato suscita curiosità e desiderio.
Il trucco funzionò: le patate rubate furono piantate altrove, diffondendone l’uso tra la popolazione.
Torniamo al nostro “subricco” napoleonico ricordandoci che assieme all’impianto burocratico, il prefetto Chabrol portò nel Dipartimento di Montenotte, provincie di Savona e Imperia, più o meno, coltivazioni e gusto se non francese, francesizzante, patate comprese. Il subricco, che a questo punto potremmo far risalire attorno al 1796, anno della vittoriosa battaglia ingaggiata dal Bonaparte contro gli austriaci a Dego, era un impasto di patate bollite, uova, formaggio, erbe aromatiche, di bosco soprattutto.
I soldati francesi, probabilmente, li cuocevano sui mattoni (“sur la brique”, come detto), i deghesi, invece, lo facevano sulla stufa.
E visto che le ricette si evolvono, oggi si friggono in olio, diventando una sorta di crocchetta saporita ed elegante, che ricorda però quella rusticità che la faceva diventare parte del cibo quotidiano, magari da portare nel “mandillu” di chi andava a lavorare nei campi, e che poteva riscaldare su una pietra rovente. Qui vi proponiamo la ricetta della De.Co.
Una ricetta che, nonostante abbia quasi due secoli e mezzo di storia, appare straordinariamente moderna.
Può essere un ottimo accompagnamento per l’aperitivo, un gustoso contorno, una saporita pietanza conviviale, per una serata in allegria assieme agli amici. In più è una preparazione versatile, non solo per i metodi di cottura, ma anche per le aggiunte, il gusto cambia a seconda delle erbe aromatiche, qualche famiglia li arricchisce aggiungendo salumi e ogni famiglia, come sempre avviene in cucina, sostiene che la “ricetta della nonna” sia quella originale… I subricchi possono essere una valida scusa per una visita a Dego, borgo a cavallo tra Liguria e Piemonte, capace di mescolare il salino che ancora si spinge in Val Bormida e il profumo dei tartufi di Langa. È ancora possibile ammirare i resti di un castello del XIII secolo, eretto su di un poggio al nord del paese e i ruderi di altri due castelli di epoca medievale, a dimostrazione dell’importanza strategica del paese, situato sul versante settentrionale dell’Appennino Ligure, alla confluenza tra Rio Grillero e la Bormida di Spigno, in prossimità di una piana vasta ed irrigua. E sempre a proposito della presenza napoleonica, un altro episodio curioso viene ancora ricordato. Nel marzo del 1814 papa Pio VII, che dopo essere stato prigioniero di Napoleone ritornava a Roma, soggiornò a Dego a causa del maltempo. Il pontefice venne trasportato negli alloggi che gli erano stati riservati su di un baldacchino, conservato ancor oggi con cura all’interno del palazzo comunale. Dego, però, è anche uno scrigno di bellezze paesaggistiche e naturalistiche. La “Collina del Dego” è riconosciuta “Area protetta di interesse provinciale” e “Sito di Interesse comunitario SIC”, per la salvaguardia degli ambienti naturali, della flora e della fauna.
Il paesaggio collinare è caratterizzato da boschi di faggi, rovere e castagni. Per quanto riguarda la fauna, sono presenti caprioli, picchi e diverse specie di cincia, ciuffolotto, poiana, allocco e gufo comune. La ricca flora di questo splendido paesaggio è tipicamente appenninica e comprende numerose varietà di felci e piante in fiore come il giglio martagone, l’epatica e l’anemone dei boschi.
Stefano Pezzini