A partire dai terreni meglio esposti, situati in prossimità della costa, prende avvio la stagione di messa a dimora dei tuberi seme che svilupperanno la pianta da cui nasceranno le patate. È un processo che dura qualche mese arrivando ai primi raccolti a inizio estate, fino a protrarsi, in montagna, verso l’autunno. L’ottima qualità delle patate liguri si basa su due pilastri fondamentali: le condizioni pedoclimatiche e il cosiddetto know how dei contadini liguri, in sostanza le vocazioni territoriali unite alle pratiche agricole tradizionali tramandate da più generazioni di coltivatori. C’è poi un terzo aspetto altrettanto importante legato alle varietà di tuberi da coltivare, poiché, ferme restando le caratteristiche di cui sopra, occorre saper scegliere le patate più adatte ai luoghi di semina, in modo da ottenere il miglior risultato in termini di qualità del prodotto, resa media, resistenza alle malattie e ai parassiti ecc. Anche in questo caso la tradizione può contribuire a facilitare le scelte, per esempio basandosi su varietà tramandate da decenni perché di ottima qualità, seppure siano disponibili sul mercato numerose varietà moderne, con caratteristiche differenti, fra le quali scegliere le più adatte alle proprie esigenze. La più rinomata fra le varietà tradizionali è certamente la Quarantina Genovese, una patata a pasta bianca, giudicata, in assoluto, fra le migliori d’Italia quanto a caratteristiche organolettiche. Era il prodotto d’eccellenza dei contadini del genovesato, soprattutto quelli dell’entroterra, dove la Quarantina trova le caratteristiche ideali per prosperare. Loro, i contadini, la chiamavano semplicemente gianca, bianca, per il suo colore chiaro, mentre sui mercati si aggiungeva la provenienza definendola bianca di Montoggio, di Torriglia ecc. Fino al primo dopoguerra fu la varietà più coltivata e richiesta, poi, con l’arrivo delle patate commerciali a maggiore resa, venne, via via, abbandonata. Per fortuna, quando ancora era insolito sentir parlare di salvaguardia delle varietà locali, grazie all’intuito di Massimo Angelini, noto ruralista genovese, iniziò un lungo lavoro di recupero, propagazione e tutela della Quarantina e di altre patate tradizionali della montagna genovese, lavoro che portò alla creazione di un consorzio di contadini tuttora in piena attività.
Tornando per un momento alle vocazioni territoriali e all’esperienza dei contadini, diverse zone della Liguria annoverano ottime patate che hanno saputo conquistare la propria fetta di mercato. Assai rinomate, per esempio, le patate di Pignone, nello spezzino, come quelle di Calizzano, nel savonese, o di Montalto, nell’imperiese. Naturalmente questa capillare diffusione delle patate ha dato vita, nel tempo, a numerose ricette locali diventate tradizionali, come la polenta bianca di Calizzano, la frandura di Montalto, la baciocca della val Graveglia, il pane di patate di Pignone, la focaccia di patate del genovesato e numerose altre preparazioni sparse per tutta la regione, quali le immancabili frittelle declinate nelle innumerevoli varianti locali.
Genova e la diffusione delle patate in Europa
Nel 1584 il frate carmelitano Nicolò Doria, approdato a Genova dalla Spagna, fonda l’attuale monastero di Sant’Anna. Porta con sé le patate, probabilmente considerate ancora una rarità botanica. Pochi anni più tardi alcuni Valdesi, appartenenti a una comunità insediatasi nelle valli piemontesi, coltivano regolarmente le patate reperite a Genova, e pare siano proprio loro uno dei vettori attraverso i quali prende il via la diffusione dei pomi di terra in Germania e in Francia. Nel genovesato, però, si dovrà attendere all’incirca fino al 1774 per trovare traccia di una prima, ridotta, coltivazione delle patate come alimento. Succede a Chiavari, in un giardino privato, ma l’esperimento non produce alcun effetto riguardo la propagazione dei nuovi tuberi, anche se siamo ormai ad un passo dalla svolta. Sarà grazie al parroco di Roccatagliata, un paesino al confine fra la valle Fontanabuona e i crinali della val Trebbia, che prenderà il via la vera diffusione delle patate. Padre Michele Dondero, nativo di un borgo della medesima valle, giunge a Roccatagliata nel 1779 trovando i parrocchiani in condizioni di povertà e malnutrizione. Ritiene che le patate possano contribuire a sfamarli e fin da subito si dà da fare per vincere le loro diffidenze verso quel nuovo ortaggio. Coltiva una prima partita di patate, provenienti dalla Svizzera, e ne ricava un buon raccolto. Nonostante le condizioni di indigenza, i parrocchiani non si lasciano convincere da quegli strani tuberi: ci vorrà un altro anno – quindi una nuova semina e il successivo raccolto – per incuriosirli, soprattutto dopo aver visto il parroco nutrirsi di patate, ed essere sopravvissuto, o aver constatato che due maiali, anch’essi alimentati a patate, ingrassavano benissimo.
Siamo alla fine degli anni Ottanta del Settecento e, finalmente, i contadini di Roccatagliata si convincono che le patate possono nutrire gli animali e anche i cristiani, oltretutto dimostrando una resa in prodotto assai maggiore rispetto alle coltivazioni ricorrenti, ovvero mais e cereali: «Anzi crebbe in loro l’impegno dall’avere osservato, che da quella porzione di terreno, donde non potevano ricavare che uno stajo [24 litri] di altre derrate, ne uscivano 50 rubbi [400 kg] di pomi di terra; i quali a calcolo fatto equivalevano a 25 rubbi [200 kg] di granone». Insomma, le patate rendono bene anche su quelle montagne, danno abbondante raccolto e sono un alimento versatile poiché si mangiano semplicemente bollite ma possono essere impiegate per fare il pane, la pasta, la polenta e, unite alla cagliata, perfino il formaggio. Il resto della storia è sviluppo repentino della produzione – soprattutto nelle vallate appenniniche – introduzione di nuove varietà e benevola “incursione” delle patate nell’alimentazione e nella cucina tradizionale, con un piccolo ma significativo dettaglio che fa molto riflettere circa la diffusione di nuovi prodotti alimentari fra le diverse categorie sociali. Siamo nel 1786: nello stesso momento in cui don Michele Dondero cerca di convincere i suoi parrocchiani, denutriti e indigenti, a coltivare e mangiare le patate, nella casa genovese della nobile famiglia Doria si gusta il budino o dolce di patate alla crema, esattamente come riportato nel volumetto intitolato De’ pomi di terra ossia patate, edito dalla Società Patria di Genova, nel 1793: «I Poveri ne mangiano per necessità; i Ricchi per diletto e per lusso». Notizie tratte da: Angelini Massimo, Le patate della tradizione rurale sull’Appennino ligure – Genova 2008
Sergio Rossi
Frutti e semi delle patate
La comune propagazione delle patate avviene mediante tuberi seme appositamente coltivati. Una volta messi a dimora, da ciascuno di essi nascerà una nuova pianta che darà vita a un certo numero di patate della medesima varietà del tubero seme. In natura la propagazione avviene attraverso i semi racchiusi nel frutto della patata, una piccola bacca tondeggiante che ne contiene oltre un centinaio protetti da una polpa gelatinosa. Non sempre le piante di patata producono il frutto, ma, quando lo fanno, esso contiene gli “antenati” da cui ha preso vita quella varietà. Il modo migliore per manifestare questa evidenza è seminare in un vaso tutti i semi contenuti in un frutto, per poi scoprire, con il passare delle settimane, dapprima la nascita di un certo numero di piccole piante di patata (che anche da adulte rimarranno sempre pianticelle di dimensioni assai ridotte), poi, con la fine del ciclo e la setacciatura della terra, verificare che il prodotto della semina sarà una serie di minuscole patatine di forme e colori differenti. Se conservati a dovere, e messi a dimora la stagione successiva, questi piccoli tuberi daranno vita a patate di dimensione maggiore e da lì, volendo, si potranno scegliere le varietà che meglio si adatteranno alle condizioni pedoclimatiche del luogo dove si riprodurranno. La prova in sé è davvero sorprendente e merita un tentativo.
Un museo per capire la storia delle patate
Come raccontare la storia dei tuberi che hanno salvato la vita a intere generazioni di contadini dei nostri monti? Con una esposizione permanente che la riassume in modo chiaro e sintetico. È quanto si può vedere a Villa Rocca di Rezzoaglio, in val D’Aveto, dove è stato allestito, con gusto e coerenza, uno spazio aperto al pubblico nel quale sono state riassunte le tappe fondamentali di quella che potrebbe definirsi l’epopea delle patate. Una quarantina di riproduzioni in cera, dedicate ad alcune fra le più significative varietà di patate di tutto il mondo, assieme a sintetiche didascalie e attrezzi da lavoro, aiutano a segnare le tappe fondamentali del lungo viaggio, dalle Ande agli Appennini, della Solanum tuberosum. L’esposizione merita una visita sia per il valore culturale, sia per la semplice e intuitiva fruibilità, facilitata dai modelli in cera – vere e proprie opere d’arte – realizzati da Paola Nizzoli Desiderato, e da oltre quattrocento riproduzioni artistiche a colori, dipinte dalla decoratrice Metella Cepollina. A completare l’esposizione anche alcuni attrezzi agricoli andini per la coltivazione delle patate, donati dall’Ambasciata del Perù a Roma. L’esposizione permanente sulle patate della montagna genovese è nata da una collaborazione fra il Consorzio della Quarantina e il Parco Regionale dell’Aveto. Per info e prenotazioni: 333 1007838 (anche messaggi Whatsapp) oppure via mail: fabrizio.bottari@quarantina.it
PATATE DAL MONDO
La collezione varietale di patate del Consorzio della Quarantina ha avuto origine nel 2008, in occasione dell’Anno Internazionale della Patata indetto dalla FAO. A Villa Rocca di Rezzoaglio Fabrizio Bottari, per conto del Consorzio, la mantiene riproducendo ogni anno circa 500 varietà tradizionali, o di antica selezione, in un apposito campo conservativo, visitabile nel periodo estivo. La collezione continua ad arricchirsi grazie alla collaborazione con numerosi istituti europei che conservano la biodiversità agraria. Durante i mesi invernali il Consorzio allestisce un’esposizione itinerante dei tuberi, raccolti nel campo conservativo, chiamata “Patate dal Mondo”: grazie ai numerosi pannelli illustrativi che accompagnano la mostra, è possibile conoscere il percorso della patata dal Sudamerica all’Europa e le vicende che lo hanno accompagnato.
IL REGALO PIU’ UTILE
“Questa pianta è il più utile regalo che il nuovo mondo abbia fatto all’antico”
Antoine-Augustin Parmentier (Montdidier 1737 – Parigi 1813)
La diffusione delle patate in Europa rimane fortemente legata alla figura di Antoine-Augustin Parmentier, agronomo francese, vero promotore dei pomi di terra come ortaggio redditizio nonché ottimo e versatile alimento. La sua opera di persuasione circa le proprietà delle patate, viene riassunta nel suo Traité sur la culture et les usages des pommes de terre, de la patate e du topinambour (Parigi 1789). Dalla versione tradotta in italiano pochi anni dopo, le indicazioni relative all’impiego delle patate in cucina: Si fanno pasticci da magro, polpette eccellenti, si mangiano in insalata, in stuffato, in arrosto, in salsa bianca col bacalà, colli fagiuoli, in frittura, e con la carne in cazzarolla. Si fanno dei pieni ai dindi [tacchini n.d.r], ed alle ocche. Ma una eccellente maniera di accomodarli, è quando sono cotti, ed un poco abrustolita la loro superficie, di mettervi del burro fresco, sale, e delle picciole erbe pestate. La forza dirompente delle patate è stata proprio la loro estrema versatilità in cucina, unita alla possibilità di mangiarle semplicemente bollite, insaporite solo con un pizzico di sale.
LA FELICINA: PATATA DI CALIZZANO
A cura della redazione
Nel cuore dell’Alta Val Bormida, l’azienda agricola La Felicina di Calizzano si distingue per la produzione di patate biologiche di alta qualità. Fondata e gestita dai fratelli Leonardo e Lorenzo Ighina, l’azienda unisce tradizione e innovazione, valorizzando un prodotto tipico del territorio. Le patate coltivate a Calizzano beneficiano di un clima fresco e di terreni particolarmente adatti, situati a oltre 600 metri di altitudine. La Felicina ha scelto di adottare metodi di coltivazione biologica, seguendo un ciclo produttivo rispettoso dell’ambiente e senza l’uso di prodotti chimici di sintesi. Questo approccio garantisce un prodotto genuino, apprezzato sia dai consumatori locali che dalla grande distribuzione, grazie a collaborazioni con marchi come Eataly e Coop. Oltre alla patata, l’azienda coltiva cereali come orzo ed Enkir, antico cereale noto per le sue proprietà nutrizionali e la sua capacità di adattarsi a terreni poveri senza necessità di trattamenti intensivi. La rotazione colturale tra patate e cereali contribuisce a preservare la fertilità del suolo e a garantire una produzione sostenibile.
L’Enkir viene coltivato per il prestigioso Mulino Marino di Cossano Belbo che si occupa della molitura e della distribuzione, inoltre le farine del Mulino Marino vengono utilizzate nel panificio Fermenta, lievitati e commestibili in via Torino a Pietra Ligure emanazione de La Felicina. L’orzo, invece, viene utilizzato per la produzione di birra in collaborazione con il birrificio “Scola Bear” di CastelBianco. Leonardo e Lorenzo portano avanti l’azienda con una visione chiara: valorizzare le risorse del territorio attraverso un’agricoltura etica e di qualità. Il loro impegno ha permesso di far conoscere le patate di Calizzano a un pubblico sempre più vasto, mantenendo salda la connessione con le radici della tradizione contadina ligure. Per saperne di più: Az. Agricola La Felicina Via XXV Aprile, 10 Calizzano (SV) tel. 388 0600582 – lafelicina@gmail.com – www.lafelicinacalizzano.it