Focaccia col formaggio: il monumento di Recco

di Umberto Curti

Exegi monumentum aere perennius (ho eretto un monumento più duraturo del bronzo) poetava Orazio auspicando l’immortalità dei propri versi. A Recco e dintorni possono similmente pronunciarsi circa la focaccia col formaggio, monumento di una “ville toujours plus gastronomique” che, come molti sanno, è celeberrima anche per il team di pallanuoto.

Come scrisse Fred Plotkin, gastronomo americano (autore anche di “Italy for the gourmet traveler”), il solo difetto della focaccia di Recco risiede nel creare dipendenza.

A me piace chiamarla di Recco perché l’indicazione geografica protetta si leghi ancor più al toponimo. E mi piace precisare focaccia “col” formaggio, anziché “al”, in quanto la crescenza (cosa diversa dallo stracchino) viene sovrapposta, non incorporata nell’impasto. Si tratta di una crescenza fresca speciale (grassa e proteica, non acquosa né grumosa), testata ogni 3 mesi. E mi piace contestare l’uso di prescinsêua (cagliata), che per le caratteristiche di liquidità e acidità comprometterebbe la ricetta. E mi piace sperimentare farine semintegrali di grani antichi che, grazie ad una maglia glutinica forte, trovo ormai del tutto concorrenziali alle ‘00’ rinforzate e alla Manitoba nel realizzare un impasto morbido, ma elastico, che poi riposerà indicativamente un paio d’ore coperto da un telo naturale e mai in frigo (senza sale, o con sale fino, è querelle che il disciplinare IGP risolve sottintendendo “quanto basta”, io suggerisco 1,5% circa). E mi piace osservare i cuochi recchelini con le mani a pugno ruotare scenograficamente la sfoglia per estenderla. E mi piace infine abbinarle un Vermentino della DOC Tigullio e Portofino (alla giusta temperatura di 10-11°C), per il calice sapido di mare, che aggiunge Liguria ai sentori varietali e secondari di un vitigno fra i più mediterranei.

Dal punto di vista (proto)storico, Recco fu sin dall’antichità approdo di una valle non secondaria, e località forse già nota a mercanti greci. La via Aemilia Scauri pian piano ricavata dai Romani fra Pisa e Genova ne fece ovviamente un punto di sosta e un castrum. Il toponimo Ricina divenne Rechum solo durante l’alto Medioevo (1).

Al presente, l’abitato, cerniera fra il Genovesato e Camogli-Tigullio, ogni anno si anima soprattutto per la festa dedicata (l’ultima domenica di maggio) proprio alla focaccia col formaggio, e per la sagra del fuoco, che impegna fieramente sette quartieri l’8 settembre, celebrazione (con bancarelle e assaggi) di Nostra Signora del Suffragio, patrona della cittadina.

Recco gastronomica è patria non solo di focaccia, bensì anche di pasta (trofiette, pansoti…), di pesce (gli scorfani della Gaiassa sostanziavano eccelse buridde…), di stecchi coi muscoli, ma qualcuno propone talvolta anche il mitico carteretu, ovvero la tasca del quarto anteriore di capretto, farcita (olio, uova, parmigiano, biete…), lessata in brodo di magro o cotta al forno e impiattata a fette. Piatto in via d’estinzione, a vantaggio di cime più consuete, a Recco era pranzo raffinato delle famiglie in vista. Le colline circostanti, infine, regalano tuttora uve, ortaggi, frutta.

La focaccia col formaggio di Recco autentica si gusta (a Recco, Avegno, Camogli, Sori) per antipasto, ma anche primo piatto, o piatto unico, soprattutto ove ci si conceda qualche fantastico bis, dato che, come Oscar Wilde, “si resiste a tutto meno che alle tentazioni”…

Un tempo si preparava ritualmente ai primi di novembre – presumo con formaggi ovini e sulla ciappa “fontanina” (2), poi via via con la mollana vaccina di Sori e dintorni – , in quanto originerebbe da una fuga degli abitanti verso l’entroterra (onde scampare alle scorrerie piratesche frequenti sulla costa), entroterra ch’elargiva un po’ di farine e di derivati caseari. Ma già nel XII secolo, durante un Te Deum pentecostale all’abbazia di San Fruttuoso, una “focaccia di semola e giuncata” fu offerta ai Crociati in partenza (giuncata è quel che oggi localmente si dice, appunto, prescinsêua).

Posta sul tegame già oliato, di rame perché sopporterà i 300° della cottura(3), la larga sfoglia, tonda ma talvolta anche rettangolare, alta circa 1 mm, deve aderire senz’aria sottostante, così come quella che si sovrappone al formaggio – un po’ più sottile – va bucata (ricavando “camini”) in modo che fuoriesca l’umidità. Un’arricciata lungo i bordi, rimuovendo i surplus d’impasto, un filo d’extravergine italiano (sottolineo italiano) tutto sopra, una spolverata di sale e poi via, cottura controllata, circa 5-7 minuti ad una temperatura sempre >270°C, forno più caldo al suolo, in basso, e meno in cielo. Il forno di casa, meno potente, tende ad asciugarla di più, indicativamente la cottura si protrae 15 minuti a 250°C in modalità statica, ma ognuno verifichi in base al proprio. Poi, spazio al piacere puro (temo concorderete con Fred Plotkin).

Recco, hai davvero eretto (e senza lievito…) un monumento più duraturo del bronzo.

  1. (1) U.Curti, Il cibo in Liguria dalla preistoria all’età romana, ed. De Ferrari, Genova, 2012.
  2. (2) ovvero ardesia della retrostante Val Fontanabuona.
  3. (3) perfetto – per i fortunati che lo possiedono – il forno a legna, con legno di faggio, o frassino, o rovere, o nocciolo, o ulivo… Meno bene, notoriamente, il castagno.

Si ringrazia per la documentazione e il materiale fotografico il Consorzio Focaccia di Recco col Formaggio.

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