Un eremo a Portofino

Immagina di ammirare Portofino dal mare, vedrai un esteso promontorio che incornicia il borgo e custodisce da secoli una storia affascinante.

Quel polmone naturale fatto di balze scoscese, macchia mediterranea, boschi fitti e crinali affacciati sul mare, nasconde monumenti religiosi e civili capaci di raccontare la storia di un territorio unico, isolato da sempre dalle principali vie di comunicazione e perciò incontaminato. Il Monte, come lo chiama la gente del posto, dal 1935 è un parco naturale, per l’esattezza il Parco Naturale Regionale di Portofino. Esteso sui tre comuni di Santa Margherita, Camogli e Portofino, è un Parco Naturale che nella tutela del territorio ha incluso la storia e le tradizioni, remote e recenti, per completare e perfezionare la valorizzazione del patrimonio locale nella sua interezza. Non solo pregevole ambiente, dunque, ma storie di eremiti medievali, monaci, pellegrini, viandanti, contadini, allevatori e pescatori.

Da sempre un luogo di raccoglimento immerso in un paesaggio straordinario, capace di stimolare i cinque sensi giungendo ad accarezzare l’anima.

Percorrere i sentieri del Parco di Portofino non significa solo godere di panorami travolgenti ma leggere e in qualche misura ascoltare, percepire, la storia che raccontano gli edifici religiosi e da tutto ciò che rimane del passaggio umano sul Monte, arrivando a guardare il paesaggio con gli occhi e col cuore di chi li ha vissuti nei secoli passati. Nascono così i percorsi tematici come il Sentiero dei Monaci, cammino che attraversa tutto il Monte di Portofino toccando le località più significative della storia monastica medievale, dalla chiesa Millenaria di Ruta di Camogli, romanica, spoglia ed essenziale, nella sua intima e discreta bellezza, fino all’abbazia di San Gerolamo al Deserto, definita comunemente la Cervara, fondata e vissuta per secoli come residenza monastica, oggi complesso dedicato all’accoglienza che oltre al restauro di tutti gli edifici storici, conserva un giardino all’italiana fra i più ammirati al mondo.

Inutile dilungarsi oltre nel tentativo di descrivere una tale bellezza, solo una visita può restituire l’emozione incomparabile di passeggiare contornati da un paesaggio fuori dal tempo: un incanto capace di rapire i sentimenti al punto di collegarsi idealmente con coloro che sul Monte spesero le proprie esistenze, tentando di trasformare il paesaggio rendendolo produttivo. Ogni segno materiale di quel passaggio diventa testimonianza concreta del lavoro di addomesticamento che i monaci praticarono e perseguirono per secoli.

La loro continua ricerca di uno stile di vita frugale che li avvicinasse a Dio attraverso il lavoro e la preghiera, seppure in un ambiente di una bellezza disarmante, si percepisce nelle più pregevoli architetture religiose e nei più semplici manufatti civili, consentendo di entrare in sintonia con la visione e la regola delle loro esistenze. Tutto l’insieme potrebbe definirsi armonia: equilibrio fra natura quasi primordiale, opera dell’uomo e rispetto reciproco in una convivenza ideale.   

Questa limitata e discreta colonizzazione del Monte, oltre alla costruzione degli splendidi edifici religiosi come l’abbazia di San Fruttuoso, richiese anche la realizzazione di tutti i manufatti di servizio utili a qualunque comunità, compresa quella religiosa. Ecco, perciò, i mulini e i frantoi costruiti lungo il corso di un torrente capace di fornire energia alle macine. I resti di ben 35 manufatti del genere punteggiano la cosiddetta Valle dei Mulini che da Paraggi risale il Monte fino a giungere al Mulino del Gassetta, oggi recuperato e trasformato in dotazione di accoglienza del Parco.

L’attenzione verso il patrimonio culturale che il Monte ha custodito per secoli comprende la tradizione gastronomica con un singolare dettaglio particolarmente gustoso. Nel 1880, padre Gaspare Delle Piane, già rettore dell’abbazia di San Nicolò di Capodimonte, lungo l’odierno Sentiero dei Monaci, dà alle stampe La cucina di strettissimo magro, un corposo ricettario compilato seguendo la regola dei frati Minimi di San Francesco Di Paola, cioè senza carni, uova e latticini. Il volume del frate è uno dei tre ricettari storici ottocenteschi che celebrano la cucina genovese, con la particolarità, solo sua, dell’esclusione di quanto era considerato “grasso”. Oggi una simile limitazione potrebbe apparire quasi compromettente per la preparazione di ricette quantomeno saporite, ma l’abitudine al rispetto della regola e i conseguenti stratagemmi culinari per giungere comunque a un buon risultato, devono aver ispirato i frati, tanto che, sfogliando il libro e provando alcune ricette, non è difficile trovarne di deliziose. Così, i suggerimenti di padre Gaspare oggi diventano un ulteriore racconto del Monte, che si rivela anche attraverso profumi, aromi e sapori immutati nel tempo.

Sergio Rossi

L’Eremo di Niasca

Dopo un lungo e scrupoloso restauro, l’antico Eremo di Niasca, a dieci minuti a piedi da Paraggi, ha ripreso vita nei mesi scorsi. Le origini si perdono nel tempo, forse ancor prima del XIV secolo quando se ne ritrova traccia in alcuni documenti. Pare fosse nato come insediamento per un pugno di eremiti, i quali, poco a poco, cercarono di bonificare l’area rendendola coltivabile. A molti secoli di distanza, l’edificio mostra i segni degli impieghi più recenti: ingranaggi e mole di un mulino, gramole e vasche di un frantoio da olive. È una struttura dedicata all’accoglienza con un’impronta e uno stile più inclini alla sobrietà e alla misura, seppur nel confort oggi irrinunciabile. Ma c’è un dettaglio in più che lo rende un po’ speciale. L’ispirazione che guida la cucina – all’eremo, ovviamente, si può mangiare – prende spunto, in buona parte, dai suggerimenti di padre Delle Piane e del suo Strettissimo Magro. Certo, non proprio seguendo tutti i suoi dettami, ma cercando, per quanto possibile, di cogliere l’aspetto salutistico, coerente e saporito di ricette preparate soprattutto con prodotti locali e comunque materie prime del circondario coltivate con metodi naturali. Così l’orto della struttura sta crescendo per fornire buona parte degli ortaggi; il grano con cui si fa il pane e la focaccia proviene da Montoggio, i formaggi dalle valli circostanti ecc. Insomma, un luogo di semplicità a pochi passi dal glamour internazionale di Portofino.

La Baronessa che salvò Portofino dalla distruzione

Dalla seconda metà dell’Ottocento un numero crescente di stranieri si stabilì nel territorio di Portofino. Il medievale Castello di San Giorgio ai primi del Novecento divenne la dimora del Barone Alfons Von Mumm, diplomatico tedesco nato nella famiglia produttrice di champagne e abile fotografo, che vi si stabilì con sua moglie, la scozzese Jeannie Watt Vonn Mumm. Nel 1915, riferendosi all’Eremo di Niasca egli affermò “… La chiesina sorgeva lontano da ogni abitazione umana, in una piega della valle, circondata da cipressi alti fino a trenta o quaranta metri”. In questo luogo ascetico, ancora oggi, prevale un’atmosfera di isolamento e sul fondo della valle sopravvivono i cipressi che il Barone ammirò all’inizio del secolo scorso. “Un luogo più adatto per un eremitaggio della valletta di Niasca, non è immaginabile” Barone Alfons Von Mumm, “La mia dimora ligure”, Berlino, 1915.

«Domani il sole sorgerà ancora».

Questa frase in codice salvò Portofino dal bombardamento tedesco il 23 aprile 1945, giorno della ricorrenza del patrono San Giorgio. Protagonista di quel salvataggio fu proprio la Baronessa Jeannie Watt Von Mumm che nel 1945 riuscì a convincere il tenente Ernest Reimers, allora comandante del distaccamento tedesco a Portofino, a risparmiare il borgo dalla distruzione. Il suo gesto rappresentò la salvezza di Portofino; la Baronessa Von Mumm ricevette la cittadinanza onoraria nel 1949, quattro anni prima della sua morte, avvenuta all’età di 89 anni. Salendo alla Chiesa di San Giorgio, su un lato, non lontano da quella che fu la sua dimora, possiamo ammirare la lapide a lei dedicata, vicino a quelle che ricordano altre personalità che hanno reso famosa Portofino nel mondo, da Guglielmo Marconi a Salvator Gotta, a Mondadori. Questa la dedica della popolazione di Portofino: “Alla baronessa Von Mumm, pervasa dal profumo del mare e dalle carezze del vento che fermò la barbarie con gesto coraggioso. I cittadini di Portofino posero a memoria”.

La Belle Époque a Portofino

Portofino è il centro del jet set internazionale e la piazzetta è visitata ogni anno da personaggi del mondo della cultura, della finanza, dello sport, dello spettacolo. Qui Ava Gardner scende dall’auto, abbraccia Humphrey Bogart nel film hollywodiano Barefoot Contessa del 1954 ma serebbe impossibile elencarli tutti. Alcuni però sono rimasti stregati dai sentieri del Parco di Portofino e li hanno poi inseriti nelle loro opere o ricordati in racconti epistolari.  È il caso di Elizabeth Von Arnim che negli anni ‘20 soggiornò a Castello Brown e che prese spunto per l’ambientazione del suo romanzo Un incantevole aprile.

“Lo splendore dell’aprile italiano era ai suoi piedi. Il sole la inondava di luce e il mare giaceva addormentato, muovendosi debolmente. Al di là della baia, anche le incantevoli montagne, dai colori squisitamente variegati, erano addormentate nella luce” (Elizabeth Von Arnim, Un incantevole aprile).

Qualche decennio prima Frederich Nietzsche, il filosofo tedesco durante le passeggiate verso Zoagli e verso Portofino ebbe le prime visioni che lo portarono a scrivere Così parlò Zarathustra. “La mattina andavo verso sud, salendo per la splendida strada di Zoagli, in mezzo ai pini, con l’ampia distesa del mare sotto di me; il pomeriggio, tutte le volte che me lo consentiva la salute, facevo il giro di tutta la baia di Santa Margherita, arrivando fin dietro Portofino […]. Su queste due strade mi venne incontro tutto il primo Zarathustra, e soprattutto il tipo di Zarathustra; più esattamente mi assalì”. (Frederich Nietzsche, Ecce Homo. Come si diventa ciò che si è).  Anche Sigmund Freud, il fondatore della psicanalisi, in vacanza alla Ruta, dopo una giornata in spiaggia a Rapallo scrive al fratello Alex di trovarsi ad “annegare semplicemente in una vita d’ozio” e descrive il “sole paradisiaco e il mare divino”, la spiaggia “di fine limo” e gli “scogli magnifici… tappeti di rocce sui quali crogiolarsi… perdendo ogni senso del tempo”.  Il Parco di Portofino è stato di ispirazione al pittore Rubaldo Merello che visse a San Fruttuoso nella casa oggi di proprietà del Parco e soggiornò tra Ruta, Camogli e Portofino nei primi decenni del ‘900 conducendo una vita di totale isolamento. Il territorio soddisfò la sua ricerca costante di soggetti naturalistici da ritrarre. La sua pittura assume come soggetto pressoché unico il suggestivo paesaggio della costa e del monte di Portofino, interpretato con un linguaggio di colore: baie, insenatura, onde, macchia mediterranea a picco sul mare…

Anche musicisti famosi hanno avuto ispirazione da questi luoghi. Luigi Tenco era un frequentatore del Parco di Portofino e amava passeggiare lungo i suoi sentieri. E Fred Buscaglione è tra gli autori della canzone Love in Portofino del 1959 interpretata anche da Johnny Dorelli e diventata un classico della musica italiana. Anche Evita Peron dopo essersi innamorata della Val Trebbia trascorse a Rapallo un lungo periodo scoprendo la baia di San Fruttuoso e pare che qui abbia dovuto far fronte alle avance dell’armatore Aristotele Onassis invaghitosi della bella argentina a cui il Quartetto Cetra dedicò la canzone “A pranzo con Evita”… però a Santa Margherita.

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