Pastificio Novella, 120 anni e non sentirli

Centovent’anni e non sentirli! Potrebbe condensarsi così la lunga storia del pastificio Novella:  quattro generazioni che si sono succedute  alla guida dell’azienda garantendo continuità  e crescita al lavoro di Giacomo e Rachele.

29 Novembre 1902: Giacomo Bozzo e Rachele Novella convolano a nozze nella parrocchia di Genova Quarto, nel levante della città. Sorese lui, genovese lei, pochi mesi dopo si insediano a Sori dove rilevano un pastificio per la produzione di pasta secca. La tradizione pastaia è piuttosto fiorente in paese, vista la presenza di altri due laboratori del genere, a confermare quella vocazione che in tutta la Liguria si registra ormai da molti secoli. I mercanti genovesi commerciavano la pasta secca già nel XII secolo, poco prima di avviare la produzione direttamente in Liguria.

Giacomo e Rachele lavorano sodo con le tecniche del loro tempo: forza motrice animale, essiccazione naturale e tanto lavoro manuale. Passa quasi un decennio prima che l’energia elettrica mandi in pensione i cavalli aprendo una nuova era tecnologica: i motori sostituiscono gli animali e un sistema di cinghie e pulegge trasmette la forza motrice alle macchine. Non cambia nulla, invece, per l’essiccazione, che avviene sempre in modo naturale distendendo la pasta su apposite traverse di bambù poste in locali particolarmente arieggiati. Il processo è complicato, richiede conoscenze tecniche e una profonda attenzione basata soprattutto sulla valutazione delle condizioni climatiche e ambientali necessarie a garantire la corretta essiccazione della pasta.   

Ben presto Natale Novella, detto Mario, fratello di Rachele, entra in azienda per dar man forte ai parenti: il lavoro procede bene ma c’è da seguire la produzione e la commercializzazione nella cosiddetta biteghetta, il primo punto vendita dei Bozzo/Novella, tanto che occorre avvalersi di alcuni collaboratori esterni. Nel 1937 si decide di aprire una seconda bottega nella quale vendere anche commestibili. Purtroppo la guerra soffoca ogni iniziativa e, se non bastasse, porta anche un grave lutto in famiglia quando Giacomo rimane vittima dei bombardamenti. I tempi sono difficili per tutti, figurarsi rimanere senza una colonna dell’azienda, per di più circondati da macerie e distruzione. Eppure, appena finita la guerra, Rachele e Mario trovano la forza di riparare i danni e avviare l’attività, tanto da essere fra i primi, in paese, a riprendere la produzione. I due fratelli diventano contitolari dell’azienda e per segnare questo nuovo corso le cambiano nome dando vita al Pastificio Novella Rachele vedova Bozzo. Non che il momento sia propizio: manca tutto, dalle materie prime, ai materiali da costruzione, all’energia elettrica che, per i primi tempi, li costringe a tornare ai vecchi metodi di produzione lasciando fermi i motori. E mancano i soldi, tanto che i rifornimenti di farina, essenziali per la produzione, si fanno a piccole partite di pochi chili, talvolta dovendosi spostare fino in Piemonte per portare a casa quella poca recuperata alla borsa nera. In azienda lavorano tutti, piccoli e grandi: Mario, la moglie Lisin e le figlie Mina e Giuseppina seguono soprattutto la produzione, Rachele gestisce il punto vendita. La pasta viene venduta in bottega e distribuita ai rivenditori dei paesi limitrofi. Alle bimbe spetta anche il compito di raccogliere le ordinazioni e talvolta recapitare la merce ai destinatari servendosi di un piccolo carretto da spingere a mano. Ai clienti delle frazioni marginali la pasta arriva grazie a piccoli trasportatori locali e mulattieri. È un mondo in ripresa che fa appello a tutte le forze residue, alimentate solo dalla volontà di riprendere a vivere e lavorare in pace.

La storia dei Novella continua con l’ingresso in azienda di Giovanni Rezzano che nel 1950 sposa Giuseppina, figlia di Mario e Lisin. L’arrivo di giovani leve porta nuovi entusiasmi: Giovanni ritiene si debba modernizzare il sistema di consegna per ampliare la clientela, e per farlo richiede insistentemente l’acquisto di un camioncino. Dopo le prime resistenze, Mario dà il via libera e arriva un furgoncino Balilla seguito poi da un Fiat 1100. Con questi nuovi mezzi si allarga la clientela con il conseguente aumento del volume di lavoro: servono apparecchiature più efficienti e nel 1952 arriva la prima macchina a ciclo continuo, un sistema “chiuso” che permette di impastare, gramolare e pressare la pasta contro la trafila senza interrompere il ciclo di lavorazione. Nel 1953, grazie a questa nuova macchina, il pastificio Novella produce circa 120 formati di pasta e, paradossalmente, proprio nel momento di massimo sviluppo della pasta secca, si registra il punto di svolta dell’azienda con l’avvio della produzione della pasta fresca, in particolare taglierini, tagliatelle, lasagne, fettuccine e ravioli, questi ultimi fatti a mano con uno stampo di legno costruito appositamente da un intagliatore.

Il 6 ottobre del 1956 Mina sposa G.B. Cavassa, detto Bacci, il quale fin da subito porta la sua inventiva in azienda ideando e progettando la meccanizzazione di alcuni processi.  Sono anni di fermento e consolidamento dell’azienda nei quali si fanno le prime prove di macchine per la pasta fresca nate dall’inventiva di Bacci e dalla perizia degli artigiani locali. Infatti, una delle prime raviolatrici viene costruita riciclando perfino il volante in alluminio di un aereo alleato, recuperato fra i resti del velivolo caduto durante il recente Conflitto Mondiale. Meccanizzare va bene, ma prodotti come i pansoti era ancora impensabile farli a macchina, e dato che si era consolidata una buona richiesta, un gruppetto di familiari, conoscenti e donne del paese, ogni giorno preparava circa una trentina di chili di pansoti da vendere in bottega e nelle vicinanze. Il 16 agosto 1966 muore Rachele Novella e l’azienda cambia ancora ragione sociale diventando Pastificio Novella di Novella Natale, il vero nome di Mario.

Il 1969 è l’anno della svolta decisiva. Con l’introduzione dell’obbligo di vendita della pasta secca solo in confezioni chiuse, c’è da rivedere tutto il lavoro.

L’aggiornamento dei macchinari con l’introduzione del confezionamento richiederebbe un notevole investimento oltre alla necessità di trovare nuovi spazi per allargare l’azienda, così si giunge alla drastica decisione di abbandonare la produzione di pasta secca per dedicarsi solo alla fresca ampliando l’attività con l’ingrosso di generi alimentari. Passano pochi mesi e Mario decide di cedere le redini ai due generi: nasce così la ditta Rezzano e Cavassa che oltre a commercializzare prodotti alimentari all’ingrosso e produrre pasta fresca, introduce anche le trofie fra i formati in vendita. Da quel momento prende avvio la lunga storia che lega le trofie alla famiglia Novella e, soprattutto, dà grande slancio al futuro successo di questa pasta unica. Allora le trofie si facevano nelle case di Sori e dei paesi del circondario. L’intuizione di metterle in commercio fuori dall’ambito locale si deve ai Novella e a pochissimi altri raccoglitori che alimentavano un sistema di produzione basato sulla fornitura a domicilio della farina, seguito dal successivo ritiro della conseguente quantità di trofie. Ogni mattina una partita di prodotto veniva raccolta e conferita ai Novella per la successiva distribuzione, mentre, contestualmente, alla produttrice – il merito delle trofie va riconosciuto alle donne! – veniva consegnata una nuova partita di farina. Se dapprima la vendita delle trofie rimaneva confinata all’ambito locale, la vera svolta si ebbe con l’idea di diffondere la distribuzione verso Genova, dove il prodotto “trofia” era identificato solo come “gnocco” e pressoché sconosciuto nella forma diffusa nell’area sorese e, più in generale, nei paesi del Golfo Paradiso. In breve tempo le trofie fanno registrare un apprezzamento sbalorditivo, tanto che la produzione manuale non potrà far fronte per molto tempo alla richiesta incalzante, men che meno in presenza di nuove normative igienico-sanitarie. Comincia allora il “travaglio” di Bacci che viene quasi sopraffatto dall’ossessione di progettare e costruire un macchinario per fare le trofie. Sono mesi di ricerca, confronto con falegnami e meccanici locali, sperimentazione di meccanismi e prove tecniche di collaudo che, dopo infiniti tentativi e parecchie delusioni, si concretizzano, finalmente, nella realizzazione del primissimo prototipo di macchinario per fare le trofie, portando l’azienda a un nuovo punto di svolta. A quella prima macchina, unica nel suo genere, ne seguono altre, migliorate sia nel risultato, sia nella produttività oraria. Passerà qualche anno prima che venga “ufficialmente” inventata e commercializzata una macchina per fare le trofie, ma intanto il prototipo di Bacci avrà già lasciato il posto a modelli molto più evoluti – di sua stessa progettazione – capaci di formare decine di trofie al minuto col grande merito di attribuire loro una forma del tutto simile al prodotto casalingo, ciò che non riuscirà ad altri macchinari in commercio.

Sono gli anni della grande diffusione delle trofie e del loro folgorante successo: forse, almeno di recente, un tale exploit per un formato di pasta tradizionale non ha avuto eguali.

Nel frattempo il pastificio Novella si consolida, si ingrandisce ed entrano in campo la quarta e la quinta generazione, capaci di mantenere saldo il legame con la tradizione familiare pur aggiornando il sistema produttivo e distributivo. Oggi Novella dà lavoro a più di cento dipendenti impegnati a produrre oltre cinquanta referenze.

Il vero orgoglio dell’azienda è però la localizzazione: aver mantenuto a Sori tutta la produzione pur affrontando il sacrificio di operare in spazi non sempre agevoli, se confrontati con aree sia orograficamente, sia logisticamente assai più adeguate a produrre e distribuire grandi quantità di prodotti alimentari quotidianamente. Dar lavoro a più di cento persone – oltre l’indotto – quasi tutte residenti nei dintorni, significa alimentare una rilevante economia locale di ricaduta consolidando il forte legame aziendale e familiare con il luogo d’origine. Peraltro, nuovi progetti di ampliamento sono già programmati con il restauro di un vecchio insediamento artigianale (ex fonderia), situato nelle vicinanze della sede principale, che fornirà circa duemila metri quadri di nuovi spazi disponibili. Inoltre, è già in fase di realizzazione la riqualificazione della bottega di Sori, il punto vendita storico che continuerà a proporre anche prodotti locali di qualità.

Continuare a investire in paese è anche un modo di comunicare indirettamente alla clientela che acquistando i prodotti Novella si contribuisce a mantenere in vita la comunità da cui essi provengono, aspetto non certo secondario in tempi di delocalizzazione. Anche per questo lo scorso novembre, in occasione dei 120 anni dalla fondazione dell’azienda, è stata promossa una campagna di affissioni con il solo intento di esprimere riconoscenza verso la clientela, sintetizzando il messaggio con un semplice “Grazie”.   Insomma, la storia continua e i tratti giovani e freschi delle nuove generazioni segnano già il futuro traguardando i nuovi orizzonti dell’azienda. Sempre in zona, però, perché Novella è nata lì, a Sori, il Paese delle trofie… e di chi ha contribuito a decretarne il successo.

Sergio Rossi

Intorsœia (si legge intursœia)

Termine della lingua genovese, difficilmente traducibile – forse si potrebbe accettare la definizione “contorsione” oppure “attorcigliatura” –, che indica la fisionomia ideale di una trofia, riferendosi, in particolare, alla “attorcigliatura” uniforme del formato di pasta, caratteristica fondamentale per una cottura omogenea. La trofia perfetta ha dalle due alle quattro intorsœie con un andamento omogeneo della forma e i terminali leggermente appuntiti.

Pace e lavoro

Anni fa ho avuto la fortuna e l’onore di conoscere e intervistare Mina e Giuseppina Novella. Più estroversa la prima, riservata la seconda, davano la sensazione di volersi davvero bene. Forse l’aver vissuto fin da piccole le difficoltà e i sacrifici della guerra e della ricostruzione avevano contribuito a rendere ancora più saldo il loro legame. In ogni caso, quando dialogammo assieme, rimasi colpito da una frase di Mina, quasi sempre delegata implicitamente dalla sorella a portavoce di entrambe.

“Vede – mi disse – dopo la guerra, in quel clima di incertezza, miseria e distruzione, appena fu possibile uscire dai rifugi per tentare di ricominciare da capo, tutto ciò che chiedevamo era pace e lavoro, nient’altro”.

Da allora ripeto spesso a me stesso quelle sagge parole: c’è forse un concetto più attuale di quello espresso dalla signora Mina? 

 

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