Montebruno: un tuffo nella natura

Percorrere la statale 45 da Genova verso il piacentino, significa immergersi in uno dei più suggestivi polmoni verdi della Liguria, fra faggete, castagneti secolari e boschi misti. Un paesaggio quasi primordiale che potrebbe ospitare percorsi ossigenanti e rigeneranti da raccomandare a chiunque almeno una volta al mese.  Il piccolo borgo di Montebruno, paesino di 240 anime con profonde radici nella storia, è incastonato fra queste montagne nel punto in cui il torrente Trebbia affianca la strada. Fra i più puliti e selvatici del genovesato, il corso d’acqua scorre incuneato nella valle disegnando anse profonde che ricordano i grandi fiumi di altri continenti. Montebruno è il primo nucleo abitato che s’incontra scendendo per l’alta val Trebbia e vanta origini assai remote legate alle gesta di San Colombano, il monaco irlandese che nel VII secolo fondò, poco lontano, il monastero di Bobbio.

L’abitato di Montebruno affianca la strada quasi a proteggerla, con le case a formare due brevi murate da entrambi i lati. Poco oltre scorre il Trebbia, attraversato da un poderoso ponte seicentesco oltre il quale svetta il complesso religioso oggi noto come Santuario di Montebruno. La vita del paese è sempre stata legata al torrente che in passato segnava il confine fra le terre dei Malaspina, lato statale 45, e quelle dei Fieschi, sulla sponda opposta. Nella seconda metà del Quattrocento furono proprio i Fieschi a donare agli Agostiniani Scalzi il terreno sul quale costruire un monastero, e nel 1472 venne ultimato il primo edificio. Nei secoli la struttura fu più volte modificata e ampliata, tanto che oggi si presenta come un complesso formato da più edifici raggruppati attorno al chiostro centrale e al santuario mariano. Di quel primo insediamento rimangono tracce rilevanti come gli affreschi del refettorio o quelli della sala capitolare (XV-XVII). Nell’antica mensa dei monaci è rappresentata un’ultima cena molto ben conservata, nella quale gli studiosi hanno riconosciuto la riproduzione del Sacro Catino. Davanti all’immagine di Gesù Cristo compare questa preziosa reliquia medievale, conservata nella cattedrale di Genova, che in passato fu scambiata per il Sacro Graal. Sulla parete opposta si può vedere un affresco dedicato a Sant’Agostino, riemerso di recente sotto vecchi intonaci. Tutto il complesso è stato oggetto di un restauro promosso e cofinanziato dall’Amministrazione Comunale grazie a un bando europeo, ciò che ha anche consentito di sistemare razionalmente la grande collezione di arredi, oggetti e utensili antichi raccolti negli anni dal Rettore del santuario. È nato così un vero e proprio museo della cultura contadina, che spazia dalla ricostruzione di una cucina di campagna, fino all’allestimento di spazi dedicati a vari mestieri del passato. La maggiore attrattiva di Montebruno rimane comunque il santuario mariano, oggetto di pellegrinaggio di fedeli provenienti dalle regioni vicine soprattutto in occasione dell’otto settembre, giornata in cui ricorre la festa dedicata alla Madonna. Un santuario sorprendente per ricchezza e per testimonianze singolari come, ad esempio, la statua della Madonna ritrovata dal pastorello sordomuto che ricevendo la grazia dalla Signora, recuperato l’udito e la parola, ispirò la costruzione del santuario; oppure certe piastrelle antiche, definite azulejos, che ricordano committenze fliscane a cavallo fra il XV e il XVI secolo. Illustre devoto del passato fu il noto cartografo genovese Matteo Vinzoni (1690-1773). Salvo dopo una brutta caduta da cavallo durante la campagna di rilievi per le sue carte, ritenne di essere stato protetto dalla Madonna di Montebruno rimanendo per sempre legato al santuario. Attraversato il ponte di pietra e percorsi pochi passi in un viottolo pavimentato di recente, si torna verso l’abitato per scoprire una vera e propria eccellenza alimentare di Montebruno. L’Antico forno a legna da Carlo fu fondato nel 1886 e tuttora rimane nelle mani della famiglia Barbieri: sono Carlo Barbieri e Ida Mangini, la moglie, a gestirlo con successo. Già dalla prima impressione si comprende di trovarsi di fronte a un piccolo scrigno di prelibatezze, e avvicinandosi alla vetrina esterna se ne ha piena conferma. Ogni particolare è curato nei minimi dettagli e la sola visione invoglia a entrare in negozio. L’interno è accogliente, ordinato e ricco di un bell’assortimento di formaggi locali e salumi scelti provenienti dal piacentino. La vera forza del forno, però, sta nei prodotti che Carlo e Ida preparano nel loro laboratorio. Occorre il massimo riguardo perfino nel raccontare la cura quasi maniacale nella scelta delle materie prime e dei procedimenti tramandati in famiglia. Il lievito madre vivo, per esempio: niente di liofilizzato o essiccato. Carlo “rimette” il suo crescente ogni giorno, accantonando sempre la porzione che gli servirà l’indomani. E con quel lievito panifica tre volte a settimana e prepara, tutto l’anno, pandolci genovesi, panettoni tipo torinese, pandoro, panettoni salati e diverse altre specialità ricavate da ingredienti scelti come burro di panna fresca, uova di galline libere, farina macinata a pietra ecc. Tutto ciò finisce nel forno che la sua famiglia rinnovò attorno al 1950 e che ancora oggi funziona con legna locale – solo faggio, carpino e rovere! – fornita dai boscaioli di Montebruno. La “lucida follia” di Carlo e Ida, posato e solido, lui, vulcanica ed eclettica, lei, li porta a compiere gesta quasi irrazionali come, per esempio, decidere di riproporre il pandoro all’antica, usando il procedimento della sfogliatura dell’impasto. In pratica, anziché formare il pandoro direttamente, lavorano la pasta ripiegandola più volte su se stessa come per la millefoglie, ottenendo così una consistenza finale del tutto singolare e pregevole. E non contenti di fare dolci tradizionali secondo ricette antiche, inventano nuovi prodotti prendendo ispirazione da avvenimenti accaduti in passato.

Così è nato il panettone di Sophie, una golosità al cioccolato dedicata a Sophie Blanchard, audace pioniera dell’aeronautica. Il 15 agosto 1811, a causa dei forti venti, la viaggiatrice francese, partita da Milano a bordo della sua mongolfiera, fu spinta sui cieli della val Trebbia dove riuscì ad atterrare in un bosco non lontano da Montebruno. Dopo una notte travagliata, al mattino fu soccorsa dai contadini locali fra lo stupore generale: non era così consueto per la gente di questi monti ritrovare una signora francese precipitata dal cielo. Oltre a generare prodotti straordinari, il lavoro di Ida e Carlo si traduce in sana economia locale che coinvolge undici persone in modo stabile più alcune saltuarie nei periodi di maggiore attività. Il loro forno a legna è il cuore pulsante del paese e attrae molti appassionati anche grazie alle numerose segnalazioni su guide turistiche e gastronomiche.  Si può affermare con certezza che Montebruno è un luogo di serenità per l’anima e di gioia per il palato. (Un ringraziamento a Marco Carraro-Archivio Parco Antola per le fotografie aeree).

Sergio Rossi

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