La Bianchetta Genovese

Durante l’interrogazione per diventare sommelier, dopo aver raccontato con passione dell’ormeasco, del pigato, del vermentino e del rossese di Dolceacqua, l’esaminatore genovese mi disse che avevo omesso un vitigno autoctono le cui radici affondano nell’entroterra del capoluogo; forse per partigianeria voleva che citassi la bianchetta genovese, cosa che prontamente feci aggiungendoci la considerazione che “i genovesi la amano perché l’abbinano con la focaccia!” il nostro viaggio tra i vitigni liguri si sofferma sulla Bianchetta Genovese
Certamente il vitigno (dialettalmente Gianchetta) è autoctono, con la concentrazione maggiore nel genovesato: siamo in una conca naturale circondata dalle colline che scivolano verso il mare. Un terreno fragile, che ancora oggi racconta la storia antica di un territorio, citato già come “Purcifera” da Plinio il Vecchio, che sorge su uno dei due bacini fluviali che delimitano a ponente e levante il nucleo storico della città: il torrente Polcevera. E’ qui che nasce e matura questo vitigno, coltivato sin dall’antichità, il cui nome Bianchetta è conosciuto nella val Polcevera e nel levante fino a Sestri, per mutare poi nelle Cinque Terre e nello spezzino con il sinonimo di Albarola; sinonimo appunto, in quanto alcuni studi e analisi del DNA hanno rivelato somiglianze coincidenti molto forti, da far si che vengano considerati un unica varietà.
Alcuni storici del cinquecento la ritengono di provenienza trevigiana, dove veniva impiegata per ammorbidire il Prosecco grazie ad una maturazione precoce che le consentiva l’ottimizzazione della maturità negli anni più freddi. Lo storico Gallesio, autore de la Pomona Italiana, sostenne che la coltivazione di tale vitigno iniziasse senza dubbio in val Polcevera: qui la Bianchetta Genovese è la protagonista indiscussa, tanto che la sua bontà è citata persino da Stendhal che la conobbe durante un suo soggiorno a Genova e ne fu così colpito da citarla nel suo celebre Viaggio in Italia.
Sembra che il nome Bianchetta derivi dal fatto che gli acini, in fase di maturazione, siano talmente chiari da arrivare quasi alla trasparenza; non ama il caldo e la vicinanza del mare, quindi viene coltivato a monte. Per questa caratteristica si trova a suo agio sui rilievi liguri, ad alte quote, con terreni difficili, allevata con un altro vitigno dalle stesse caratteristiche, il Verdiso. È un vitigno delicato e cagionevole facilmente attaccato da marciume e parassiti.
Per dare la sua espressione migliore, la Bianchetta ha bisogno di un terreno particolare, tipico della zona: il tarso, facilmente sgretolabile, secco, ma in grado di trattenere in profondità il giusto tasso di umidità.
Il vino ha un colore giallo paglierino con riflessi verdolini, i profumi sono di erba di campo, floreali, fruttati con piccole note di agrumi e minerali, in bocca è fine, intenso, equilibrato con buona acidità, sapidità e buon corpo, un grado alcolico minimo di 12°, mentre nella versione “passito” si arriva a 15°.
Quando si parla di Bianchetta il pensiero ci riporta ad una zona di Cornigliano dove il vitigno mutava le sue caratteristiche: Coronata. Era prodotto dai contadini del primo entroterra, sui declivi che guardano il mare: minuscoli appezzamenti scoscesi, spesso costituiti soltanto da pochi filari. Fino a qualche decennio fa in zona si beveva il “nostralino”, un vino bianco semplice, da gustare ben fresco in abbinamento alla cucina di tutti i giorni. E ci si ritrovava ad Acquasanta, nell’unica osteria presente in quel tempo, a farsi un gotto di vin bun.
Oggi rimane solo una piccolissima produzione del Coronata un ‘bianco’ dal colore giallo paglierino, profumo delicato con note di agrumi, al gusto secco, asciutto e un finale gradevolmente amarognolo. Spesso sa di zolfo a causa dei terreni nei quali prevale questo minerale. Anche se tale sapore lo si toglie quasi del tutto con numerosi travasi, i produttori però lasciano perdere, mantenendo quella che è sempre stata la peculiarità del Coronata, quell’aroma di zolfanello che mi fa tornare ad assaporare il vino fatto come una volta.
La Bianchetta Genovese fa parte di alcune Doc liguri, come il Colli di Luni, il Golfo del Tigullio, e, appunto, il Val Polcevera. Viene impiegato anche per lo Sciacchetrà, vino dolce passito prodotto esclusivamente nella zona delle Cinque Terre. Quasi sempre in assemblaggio, raramente viene impiegata in purezza, apportando dei profumi delicati ed eleganti, spesso floreali e poco fruttati, mentre al palato la caratteristica peculiare è una buona sapidità equilibrata da un bel corpo pieno.
Pochi produttori si dedicano alle vinificazioni in purezza: l’azienda agricola Pino Gino nella Doc Portofino e Andrea Bruzzone nella Doc Val Polcevera, uno dei pochi produttori a produrre ancora il Coronata con un assemblaggio di Bianchetta, Bosco, Rollo e Vermentino.

Abbinamenti

È un vino versatile che può essere abbinato ad un ventaglio di pietanze: esalta i profumi agresti degli ortaggi e gli aromi delle erbe che danno origine a minestre (minestrone alla genovese), polpettone di fagiolini, broccoli con le acciughe, torta pasqualina, mesciüa, riso alle erbette.
Si accompagna, grazie alla sua vivacità, morbidezza e leggerezza alla minestra con bianchetti o rossetti, alla sogliola alla mugnaia, frittata di bianchetti, stoccafisso con le favette (con i bacilli).
Da provare con sushi e sashimi, con pesci grassi leggermente salsati. Bene anche con salumi freschi e con il salame di questa zona : il Sant’Olcese; regge anche formaggi mediamente stagionati.
Ma per raggiungere la perfezione bisogna provarlo con la tipica “colazione” Genovese: abbinato alla focaccia!

 

 

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