Il Moscatello di Taggia

La Liguria riserva sempre sorprese. Una di queste è sicuramente la Valle Armea con il suo prolungamento in altitudine – la Valle Argentina – che si snoda lungo l’omonimo torrente. Da Arma di Taggia risalendo il torrente, la valle si apre con arroccati a destra il Comune di Castellaro e di fronte Taggia, con le sue tante testimonianze storiche ed artistiche. Ammiriamo i palazzi e il ponte medioevale, le opere artistiche custodite nel convento dei Domenicani. Nel 641 Tabia (l’antico nome della città che si affacciava sul mare)  fu rasa al suolo dai Longobardi. Fu allora che gli abitanti si spostarono verso l’interno, su un’altura, dove le possibilità di difesa erano maggiori.
Il centro sul mare, un tempo ricco e commerciale, si svuotò definitivamente:  tutti gli abitanti si rifugiarono presso il convento benedettino dando impulso alla nuova Taggia.

È la terra dell’oliva taggiasca, così chiamata perché fu portata dai monaci a Taggia; questa, insieme agli agrumi, diventò vanto e fonte di sostentamento per l’economia della Riviera. La storia afferma però che ben più remota ed importante fosse la coltivazione della vite. Proprio la zona di Taggia, nel basso medioevo, era associata alla produzione di uno storico vino, il Moscatello, che veniva descritto come “un nettare dolcissimo” prodotto in tutto l’estremo Ponente ligure. Luoghi d’elezione del Moscatello erano Ventimiglia, Dolceacqua, Porto Maurizio, (figura già negli statuti del 1405), Sanremo, Bussana e soprattutto Taggia, per lungo tempo il più importante centro viticolo ligure: commercializzava sia vini comuni sia di qualità superiore, producendo soprattutto  vini dolci e liquorosi. Il Moscatello e la Vernaccia, avendo un contenuto zuccherino e una gradazione alcolica maggiori, erano più adatti ad essere trasportati per lunghi viaggi (non subivano lo spunto acetico) e quindi più facilmente commercializzabili. Nel 1400 il vino di Taggia veniva esportato  nel  Nord Europa,  in Inghilterra e nelle Fiandre: il carico di vino trasportato era talmente prezioso che nel 1434 venne proibito alle navi che trasportavano Moscatello di caricare altro vino lungo la rotta. Nel XVII secolo però,  l’affermarsi dell’ulivo mise in secondo piano la viticoltura, e così la produzione di Moscatello si ridusse, diventando una nicchia di mercato quasi esclusiva di re, Papi, dogi e altri nobili. Il vero colpo di grazia venne inferto intorno al 1880 con l’invasione fillosserica, che ne decretò la sua quasi totale estinzione.

Con l’attuale  tendenza a  riscoprire i vitigni autoctoni voluta per affermare la specificità del territorio, per proteggere e valorizzare il grande patrimonio vitivinicolo italiano e per contrastare il mercato dei vitigni internazionali, anche in questo lembo di Liguria qualcuno pensò di studiare, cercare e recuperare questo vitigno.

Alla fine del ‘900 iniziò la ricerca sul territorio, grazie alla passione di alcuni viticoltori, in particolare di Eros Mammoliti (che voglio considerare il motore della rinascita del Moscatello): vennero ritrovate  le viti di Moscatello sparse tra gli anziani viticoltori che ancora parlavano di questo Moscatello e che ne conservavano qualche pianta, a volte solo per non perdere la varietà, a volte per avere una piccola quantità di uva aromatica da aggiungere nei vini bianchi. Grazie alla collaborazione con l’Università di Torino e a moderne tecniche genetiche, fu possibile isolare, tra i 67 campioni ritrovati, la pianta che poteva essere considerata puro moscatello. Proprio da quell’unica vite risorse il Moscatello che, innestato, ha dato vita, in questi anni, ad oltre 15.000 barbatelle. Nel 2000 rinasce il Moscatello, nello stesso anno inizia la vinificazione e nel 2011 entra a far parte della DOC Riviera Ligure di Ponente, con l’istituzione della sottozona Taggia. Nel 2014 nasce l’Associazione Produttori Moscatello di Taggia, con  Presidente Eros Mammoliti, sede nel convento dei padri cappuccini di Taggia; L’associazione si pone l’obbiettivo di valorizzare il Moscatello di Taggia, farlo conoscere, e divulgare l’importante storia e gli oltre 10 anni di ricerca scientifica che sono stati svolti.

Il Moscatello di Taggia è un “Moscato bianco”, geneticamente uguale a quello di Canelli, vitigno a base della spumantistica dolce piemontese (Asti Spumante e Moscato d’Asti) e di grandi vini passiti, del quale mantiene il caratteristico aroma di muschio e le principali caratteristiche ampelografiche: il grappolo a forma allungata, acini tondi di colore giallo dorato che presentano una caratteristica “piga” all’estremità.

Oggi da questo vitigno, che matura verso la seconda metà di settembre, si possono ottenere vini secchi e aromatici adatti per aperitivo,  vini dolci e intensamente aromatici, frizzanti, spumanti e, a seguito dell’appassimento delle uve, vendemmie tardive o passiti di eccellente qualità. Vino che acquista però, a differenza del suo cugino piemontese, una connotazione comune a quasi tutti i vini liguri: la particolare sapidità e la decisa freschezza.

Nella versione secca il vino si presenta con un colore giallo con riflessi verdolini, tenue e delicato nei profumi, emergono al naso i classici, terpeni del moscato: sentori erbacei e floreali, fruttato (agrumi e pesca) , persistente. Sapore secco, fresco, decisamente  sapido. Retrogusto mandorlato.

Viene spesso fatta una vinificazione in bianco con macerazione sulle bucce a temperatura controllata, per estrarre tutti i profumi varietali del vitigno.

La  buona acidità regala pulizia in bocca che ben si apprezza in abbinamento a pietanze di pesce, crostacei, molluschi. Adatto anche taglieri di salumi e formaggi. Imbattibile con la focaccia di Recco, da provare con il brandacujun, piatto tipico della cucina ligure a base di patate e stoccafisso.

Nella versione vendemmia tardiva le uve vengono lasciate surmaturare sulla pianta così da ottenere un prodotto con una discreta gradazione alcolica ed ancora zucchero. Al naso spicca l’aroma netto del mandarino, della pesca e qualche frutto tropicale, con un corredo importante di erbe mediterranee. In bocca è abboccato e morbido. Perfetto sui dolci di pasta frolla e sulla pasticceria secca ma anche su formaggi stagionati e pietanze a base di pesce crudo.

Ma la punta di diamante resta il Moscatello di Taggia Passito. Come in tutti i passiti, l’uva va monitorata giorno dopo giorno per raggiungere il giusto bilanciamento zucchero/acidi per ottenere un vino equilibrato nelle sue componenti; talvolta viene vendemmiata una parte sola del grappolo. L’uva  viene messa ad appassire in cassette per circa due mesi, in zone areate  ben ventilate, privandola di acini alterati. Durante il processo di appassimento, l’acqua contenuta nell’acino si riduce circa del 50% e si concentrano gli zuccheri; ad appassimento avvenuto si vinifica con una fermentazione attenta alla conservazione di tutto il corredo aromatico.

Visivamente si presenta giallo oro carico, con una densità quasi oleosa alla rotazione del bicchiere, segno di un corpo decisamente importante. Profumi floreali, fruttati, erbacei (note di geranio e salvia), frutta candita. Al palato dolce ma non stucchevole, morbido, con un’ottima acidità che ben compensa il residuo zuccherino importante, estremamente sapido. Persistente e piacevole. Ottimo su dolci con canditi, come il pandolce genovese, i locali canestrelli ma ben si sposa con il foie gras, i formaggi di media stagionatura e gli erborinati.

Se devo trovare un difetto al Moscatello di Taggia è il fatto che la produzione è ancora alquanto insufficiente per portarlo sulle tavole degli italiani e far conoscere un vino ligure dal carattere estremamente deciso che nulla ha ad invidiare ai grandi passiti del Sud Italia o del Nord Est.

A cura di Franco Demoro

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