Gli spumanti della Liguria

Le bollicine in un vino sono sempre state associate ad eventi festosi: si stappa lo spumante per la vittoria in un gran premio di Formula 1, per brindare ad una nascita, per festeggiare gli sposi, e in tutti i momenti in cui bisogna fare festa.

E così bamm! Via il tappo e inebriamoci con le varietà di bollicine! Qui però subito faccio uscire il sommelier che è in me: lo stappare una bottiglia di spumante è un’operazione da fare con rigore e rispetto: secondo le regole del galateo e della sommelerie è fondamentale evitare che il tappo esploda, provocando il caratteristico botto. Basterà accompagnare dolcemente il tappo sino alla sua completa fuoriuscita in modo che la pressione dei gas si scarichi gradualmente.

Un tempo la scelta dello spumante era facile: le bolle di prestigio erano francesi, i primi che affinarono la tecnica della spumantizzazione, e il successo delle bollicine italiane era ancora un barlume.

Ancora oggi, per quanto riguarda le prove documentate delle origini dello spumante, non si hanno certezze sulla sua creazione. Nella Bibbia pare già si parlasse di un vino frizzante bevuto in occasioni speciali.

I Romani, per le loro libagioni conoscevano i vini spumanti, una specie di mosto ancora dolce che veniva mantenuto ad una bassa temperatura immergendo le anfore nell’acqua fredda. A Pompei, si trovò una cella vinaria dove venivano disposte le anfore e nel quale si faceva circolare continuamente dell’acqua fredda. E’ questa, forse, una delle prime cantine attrezzate per la produzione dei vini frizzanti.

Lo spumante è un vino effervescente caratterizzato dalla presenza di anidride carbonica disciolta.

Ma come si produce? Per ottenere le famose bollicine, si parte da un vino base, che viene trasformato in spumante. Questo avviene facendo rifermentare completamente una soluzione zuccherina aggiunta e addizionata con opportuni lieviti, ottenendo così una sovrapressione di almeno 3 atmosfere. Detto questo, esistono sistemi e tecnologie diverse per arrivare al medesimo risultato, ma profondamente diversi in termini del prodotto ottenuto e del suo profilo organolettico.

Il metodo più antico è sicuramente quello chiamato metodo ancestrale che non prevede l’aggiunta di zucchero, ma la rifermentazione in bottiglia del residuo zuccherino con il quale il vino è stato imbottigliato. Gli enzimi e i lieviti chiusi in bottiglia inibiscono la CO2 creando, come dicono i francesi, un “petillant” leggermente frizzante. Questo è il metodo iniziato in Francia  ne Languedoc-Roussillon a Limoux. Nel 1531, la Blanquette “de Limoux” ebbe origine nelle cantine dell’abbazia benedettina di Saint-Hilaire. I monaci dell’abbazia si resero conto che il vino bianco che avevano imbottigliato e tappato era frizzante, ossia formava ‘bolle’ al suo interno. Da allora iniziarono a dedicarsi allo studio di questo fenomeno e alla produzione di questo vino che fermentava in bottiglia diventando frizzante. Normalmente, non effettuando la sboccatura, questi vini si presentano torbidi con sentori olfattivi di crosta di pane più accentuati dovuti a una maggiore presenza di lieviti.

Il metodo certamente più famoso e affascinante è quello della rifermentazione in bottiglia chiamato metodo classico o metodo champenoise. L’invenzione (evoluzione del metodo ancestrale) la si deve a Pierre Perignon, detto Dom Perignon, un abate francese cresciuto a stretto contatto con il vino, lavorando nei vigneti del padre e degli zii. Dopo essere divenuto prete, nel 1668 fu nominato tesoriere e responsabile dei vigneti del monastero benedettino di Saint-Pierre d’Hautvillers: un compito importante per una struttura che si auto-sostentava sostanzialmente con la vendita del proprio vino. Pier si dedicava ogni giorno con estrema cura alle vigne del convento e faceva esperimenti con le varie uve coltivate.

La leggenda vuole che Dom Perignon inventò lo champagne quasi per errore: il monaco si era accorto che alcune delle bottiglie tra quelle lasciate a riposo per affinare erano scoppiate nonostante lui stesso le avesse sigillate con della cera d’api. Il primo Champagne venne chiamato “vino del diavolo”, per il timore che le bottiglie scoppiassero all’improvviso lanciando schegge di vetro in ogni direzione. L’abate scoprì la presa di spuma, cioè il processo attraverso cui si sviluppa l’anidride carbonica dopo la rifermentazione in bottiglia.

Una seconda versione vuole che Dom Perignon, grande sperimentatore, aggiunse di proposito zucchero e fiori di pesco al vino bianco in bottiglia e constatò come, dopo la rifermentazione, potesse sviluppare le bollicine.

Oggi il processo della produzione del metodo classico è ben codificato: si parte da un vino base ottenuto da una o più vendemmie, messo in bottiglia con una mistura di enzimi, zuccheri e lieviti (chiamato liqueur de tirage). La bottiglia, chiusa con il tappo a corona, viene lasciata coricata per alcuni mesi; in questa fase i lieviti aggrediscono gli zuccheri e, in un ambiente chiuso e saturo, si forma la cosiddetta presa di spuma, cioè la trasformazione di anidride carbonica e la formazione delle bollicine. Le bottiglie rimangono accatastate orizzontali per alcuni anni e durante questo lungo periodo avviene l’affinamento. Il sedimento si deposita su un fianco della bottiglia. Più la rifermentazione dello spumante è lenta, più le bollicine (il perlage) saranno fini e persistenti.

Terminato l’affinamento, le bottiglie vengono poste su appositi cavalletti, detti pupitres. Qui ha inizio una lavorazione chiamata remuage dove le bottiglie vengono scosse una ad una, ruotate di ¼ di giro e riposte sui pupitres, aumentandone gradualmente l’inclinazione. In questo modo i residui dei lieviti discendono nel collo e quindi sul tappo della bottiglia. Questa fase dura da 30 a 40 giorni quando le bottiglie si troveranno in posizione quasi verticale.

La fase sicuramente più emozionante è quella della sboccatura, o dégorgement: il collo della bottiglia viene immerso in un liquido a una temperatura di -20/-25°C e subito dopo tolto il tappo a corona. La pressione interna (4-5 bar) butta fuori un blocchetto di ghiaccio formatosi col freddo e contenente i residui dei lieviti di rifermentazione. Segue la colmatura delle bottiglie aperte con il cosiddetto liqueur d’expedition, una ricetta segreta che ogni maison conserva gelosamente e dove ci si può sbizzarrire rabboccando le bottiglie con sciroppi di vino e zucchero e persino con piccole quantità di distillati che aggiungeranno note aromatiche e diversi gradi di dolcezza. Spesso si aggiunge semplicemente lo stesso vino, dando origine ad uno spumante “dosaggio zero” o pas dosé, che è molto secco.

Finalmente la bottiglia viene chiusa definitivamente con un tappo di sughero e con la famosa gabbietta metallica per far sì che la pressione non espella il tappo.

L’ultimo metodo per la spumantizzazione, il più moderno, è il metodo Martinotti, nato nel 1895 per opera di Federico Martinotti,  che ideò un metodo di produzione caratterizzato da costi più contenuti e tempi di produzione molto più brevi. Questo metodo implica la fermentazione in massa del vino base, non in bottiglia ma in contenitori di acciaio inox sotto pressione (autoclavi) a temperatura controllata.

Il metodo venne poi migliorato e brevettato dal francese Eugéne Charmat una quindicina d’anni dopo, ed è ormai universalmente conosciuto come “Metodo Charmat“. Questo sistema di produzione è ottimale per la spumantizzazione dei vitigni aromatici quali i moscati, le malvasie e ha fatto la fortuna di molti vini spumanti come il Prosecco e l’Asti spumante. Oggi gli spumanti italiani hanno raggiunto e talvolta superato quelli d’Oltralpe: al Franciacorta, al Trento, all’Alta Langa, all’Oltrepò Pavese, si affacciano nuove realtà, questa volta regionali.

La produzione di bollicine della Liguria è particolare e, a tratti, stravagante. La Liguria si configura come una stretta lingua di terra inarcata tra la costa del Mediterraneo e le Alpi: un luogo dove le diverse identità del mare e dei monti trovano un impareggiabile punto d’incontro. Questa particolare natura geografica incide notevolmente sulle caratteristiche e sulle espressioni della vitivinicoltura, con un patrimonio di vitigni autoctoni che non ha ceduto alla moda dei vitigni internazionali.

Il vino nasce anticamente come un vino dolce, ed è pensabile che lo spumante ligure sia la conseguenza degli zuccheri residui che, rifermentando, hanno dato luogo alle “bollicine” e da qui si sia innescato il processo di spumantizzazione che ha coinvolto molti produttori.

Ed ecco allora la nascita degli spumanti di altissima qualità, grazie alla passione e al coraggio di imprenditori fortemente legati alle eccellenze che il nostro territorio offre, spesso sottovalutate: Pigato, Vermentino, Bianchetta, Lumassina, ma anche Ormeasco  e Rossese sono stati trasformati in spumanti capaci di soddisfare i palati più esigenti, anche se la produzione è forzatamente limitata.

Devo giustamente fare un’autocritica: alcuni anni fa ero contrario al proliferare delle bollicine in Liguria, perché ritenevo i nostri vitigni non adatti alla spumantizzazione.

La mia era una strenua difesa dei vitigni storici vocati alla spumantizzazione. Ma non si può mettere in paragone i nostri spumanti con i grandi classici a base Pinot Nero o Chardonnay. Per apprezzare i nostri prodotti bisogna cancellare dalla mente l’idea che uno ha dello spumante tradizionale e ricercare invece le particolarità dei nostri vitigni, aprendo la mente su altre espressioni gustative e nuove caratteristiche. E nel degustare i nostri spumanti bisogna sottolineare lo sforzo che i nostri vigneron stanno facendo nel produrre tali tipicità: ricercare la giusta maturazione degli acini per ottenere un equilibrio ottimale tra zuccheri e acidità, lavorando con vitigni tradizionalmente vocati alla vinificazione in vini fermi, senza una storia su cui fare affidamento e con lieviti selezionati per i classici vitigni da spumantizzazione. Da buon ultimo, l’impegno economico di stoccare per alcuni anni bottiglie che avrebbero monetizzato subito guadagno.

Ma il Ligure si sa è fantasioso, e per promuovere il proprio prodotto, alcuni hanno escogitato molteplici metodi di affinamento che oltre a produrre le condizioni ottimali, sono anche una grandissima operazione di marketing. E da qui la scelta del produttore se produrre spumante con il metodo classico, o Martinotti o ancora l’ancestrale, a seconda dei vitigni utilizzati. Spumanti da scoprire, che riempiono il bicchiere dei profumi di Liguria e di un’impronta tagliente marina.

GLI ASSAGGI

Abissi – Metodo Classico – Bisson

Partiamo subito col botto! Le bottiglie di Metodo Classico a base Bianchetta Vermentino e Cimixia affinano nei fondali marini a sessanta metri di profondità nella Baia del Silenzio di Sestri Levante. Là sotto, la temperatura è costante a 15°, ideale per far maturare i lieviti per almeno 18 mesi. Nella penombra e nella quiete marina la bottiglia viene cullata dalle correnti, che rimettono in sospensione i lieviti con un remuage naturale. La bottiglia è ricoperta da incrostazioni con conchiglie e sedimenti, che rendono affascinante e unica l’etichetta, testimonianza della vita sul fondale. Il vino ha colore paglierino intenso e un’ottima persistenza olfattiva: colpisce al naso il profumo della crosta del pane, della mela verde e spicca la nota salmastra che fa ricordare lo sbuffo del mare che si infrange sugli scogli, accompagnata da sentori di frutta esotica matura, fiori di tiglio ed erbe aromatiche. Il perlage è fine e persistente, in bocca è ampio, avvolgente, morbido e sapido con una bella acidità, una bellissima mineralità, caratteristiche sia dei vitigni che del metodo. E’ un vino che si fa bere molto facilmente dove terra e mare sono ora fusi indissolubilmente generando qualcosa di assolutamente unico. (www.bissonvini.it)  

Principe Jacopo  – Metodo Ancestrale – Possa 

60% Albarola e 40% Bosco vitigni tipici delle Cinque Terre. Dopo ventiquattro ore di macerazione sulle bucce si passa ad una fermentazione spontanea, interrotta col raffreddamento e poi successiva rifermentazione. Vino caratterizzato da una frizzantezza abbondante. Al naso si presenta semplice nei suoi sentori citrici, fruttati, floreali con erbe mediterranee e sentori di iodio. In bocca è secco, fresco succoso, fruttato e sapido agrumato, marino giustamente mediterraneo.  È un vino piacevole che invita alla beva complice anche il contenuto grado alcolico. Vino che si presta come aperitivo ideale per accompagnare verdure pastellate o la classica focaccia ligure. (www.possa.it)

Giulio F56 – Metodo Classico – La Baia del Sole

La famiglia Federici vanta una lunga tradizione contadina nel cuore dei “Colli di Luni”, tra borghi medievali collocati in posizione dominante e la foce del fiume Magra, tra le Alpi Apuane e il mare. L’azienda nasce con Giulio Federici che decise di puntare su un territorio e sulla coltivazione principalmente del vermentino, vitigno che ama il mare. Oggi l’azienda è impegnata a tenere viva la tradizione vinicola ligure con continui investimenti. Lo spumante è prodotto interamente da uve vermentino viene affinato per sei mesi in botti di rovere, con la seconda fermentazione sui lieviti per 24 mesi. Giallo dorato brillante, perlage vivace, al naso è intenso con aromi floreali, fruttati (agrumi e l’inconfondibile mela), erbe aromatiche mediterranee, crosta di pane e una leggera mineralità. Il sorso è cremoso, fresco e sapido, molto vivace, morbido ed equilibrato, con una buona persistenza e un finale ammandorlato. Vino capace di accompagnare tutto un pasto. (www.cantinefederici.com)

Janua – Metodo Classico – Cantine Bruzzone

L’azienda è una delle prime a credere nelle potenzialità dei vini della Valpolcevera, territorio che ha subito negli anni il progressivo abbandono delle campagne. Il primo spumante genovese che racchiude nel nome Giano (una divinità mitologica romana), due facce, una verso il mare e una verso la montagna, estrema sintesi del territorio ligure. Uno spumante prodotto con il vitigno principe della zona, la Bianchetta, e una restante quantità di vermentino. Il perlage è fine fitto e continuo, mentre l’impatto olfattivo è intenso, emergono la frutta bianca matura, i fiori della macchia mediterranea (ginestra e camomilla), note minerali quasi di zolfanello, sentori di pasta lievitata e vaniglia. In bocca è secco, fine, vestito di buona acidità e sapidità, molto equilibrato e con un retrogusto piacevolmente amarognolo. Buona la persistenza aromatica finale. (www.andreabruzzonevini.it)

Rivus Major – Metodo Martinotti – Cantina Cinque Terre

Per sottolineare fortemente il legame con il territorio, questo spumante porta il nome latino del borgo Riomaggiore. Nasce da uve vermentino ed altri vitigni coltivati nella zona delle Cinque Terre. Nel bicchiere si presenta di un giallo paglierino con riflessi verdolini molto trasparente e brillante con bollicine fini spumose ma poco persistenti. Gli aromi presenti maggiormente sono quelli floreali, con accenni di frutta non matura. Piacevole impatto al palato, con sapore intenso sorretto da una buon acidità e una marcata sapidità. Le componenti sono estremamente equilibrate rendendo il vino piacevole alla beva. Ottimo come aperitivo con i classici stuzzichini liguri.(www.cantinacinqueterre.com)

Piganò e Bolle Rosa – Metodo Martinotti – Viticoltori Ingauni

Nata nel 1976 ad Ortovero per iniziativa di 13 soci, intenzionati a produrre, valorizzare e commercializzare il vino tipico della zona. Successivamente si è arricchita di nuovi soci conferitori arrivando a contarne circa 200. Il Piganò è caratterizzato da  profumi e sentori fruttati, aromatici e sapidi del vitigno Pigato che ben si compenetrano in bocca con la struttura e la freschezza del Pinot nero. Vino da gustare piacevolmente come aperitivo e da abbinare perfettamente a molti piatti liguri: erbette in pastella fritte, friscioi di baccalà, torta pasqualina. Interessante il Bolle Rosa, ottenuto con l’assemblaggio di Sciac-trà di Ormeasco e Pinot Nero: vino dall’impatto fruttato croccante dove è riconoscibile la fragolina di bosco e la ciliegia. In bocca la spalla del Pinot Nero si sposa alla perfezione con lo
Sciac-trà nella sua acidità, sapidità ed equilibrio. Vino ben riuscito. (www.viticoltoriingauni.it)

Due Zero Sette – Metodo Classico – Tenuta Maffone

Il coraggio di spumantizzare l’Ormeasco, vitigno a bacca rossa clone del Dolcetto, con piante secolari, lo hanno avuto i vulcanici coniugi della Tenuta Maffone: è un millesimato che matura sui lieviti per 60 mesi in vecchi fienili nella frazione di Acquetico (Pieve di Teco).  Il vino si presenta di un intrigante colore rosato, profumi eleganti di ciliegia appena matura, melograno, fragoline di bosco, ribes e una nota citrina, che si fondono in modo armonico con quelli di lievito e di crosta di pane. Il perlage è fine e persistente con catenelle che risalgono nel bicchiere ordinatamente.  In bocca risulta fresco e sapido, di bella dinamica gustativa sorretto da un’ottima acidità e tannini appena accennati che si fanno setosi. (www.tenutamaffone.it)

Dosaggio zero – Metodo Classico – Deperi

Una realtà vitivinicola che sta emergendo sempre più quella condotta da Paolo Deperi, figlio di una dinastia vocata al vino, che ha fatto del Pigato il proprio biglietto da visita. Siamo a Ranzo, nell’entroterra di Imperia, dove possiamo parlare di una viticoltura eroica, perchè il terreno è difficile da lavorare, ma Il territorio rispecchia appieno i vini.  E il loro metodo Classico non poteva che essere prodotto con uve Pigato che riposa sui lieviti nelle segrete del Castello dei Marchesi di Clavesana, a Rezzo, un ambiente perfetto per la conservazione del vino, con temperatura e umidità costante, assenza di luce e rumore. Dosaggio zero, (senza aggiunta di zuccheri nella liqueur d’expedition), al naso emergono aromi di fiori, agrumi, pesca gialla, erbe aromatiche e nota di crosta di pane. In bocca, il vino ha un buon corpo, un’acidità marcata e una buona sapidità, leggermente speziato con le componenti dure sovrastanti quelle morbide (è così che voglio uno spumante!); vino che invita alla beva e si abbina bene a fritture di verdure e di paranza. (www.deperi.eu)

U Bertu – Metodo Classico – La Vecchia Cantina

La famiglia Calleri, è una dei pilastri nella produzione di vini a Salea, piccola frazione del comune di Albenga, nel cuore della vinificazione del Pigato. Il legame con il territorio è forte e si rispecchia nella linea di produzione dove traspare amore, passione e modernizzazione nelle nuove tecniche di cantina. Il loro spumante, prodotto interamente con uve Pigato ne è la massima espressione. Millesimato, dosaggio zero; nel bicchiere si presenta di un giallo paglierino intenso e brillante con perlage fine e persistente. Al naso emerge subito una buona intensità. Vino complesso con aromi marcati di frutta a polpa gialla, frutta tropicale, floreale, fine e varietale nonostante la permanenza sui lieviti che fa emergere marcati sentori di crosta di pane. In bocca è caldo, avvolgente con un’ottima acidità e una mineralità ben presente, equilibrato e molto persistente. Un’ottima interpretazione di spumante. (www.lavecchiacantinacalleri.it)

Pigato Millesimato – Metodo Classico – Vis Amoris

Siamo nel 2004, quando Roberto Tozzi di Vis Amoris parte da un piccolo vigneto a Imperia fino ad arrivare ai 3,5 ettari attuali. L’azienda, composta da tutti i componenti della famiglia, nel frattempo costruisce la cantina con l’idea di coltivare solo Pigato e declinarne nove versioni: una scelta coraggiosa, ancor più se abbinata ad una vocazione interamente biologica, ma che afferma prepotentemente il rispetto del territorio. Fiore all’occhiello è senza dubbio il Metodo Classico: una prima fermentazione svolta tutta in acciaio, poi malolattica in barrique, e una sosta sui lieviti per almeno 30 mesi. Il vino si presenta nel bicchiere con un’abbondante presa di spuma bianca, con una bollicina finissima e continua; giallo paglierino di carica normale con riflessi verdognoli. Al naso ha eleganti profumi di fiori bianchi, agrumi, frutta gialla e erbe aromatiche; in bocca è fresco e sapido, con frutto maturo e succoso e i sentori dell’uva “Pigato” lo rendono  identificabile ad ogni sorso. Pieno, avvolgente, elegante, con una leggera nota mandorlata sul finale tipica del vitigno. (www.visamoris.it)

Baxin – Metodo Martinotti – Ramoino

L’azienda agricola Ramoino, è alla terza generazione di viticoltori, con sede a Sarola, vicino ad Imperia. Cantina moderna che rispetta il vitigno e il territorio coltivando una varietà di vitigni che spaziano dal Vermentino, al Pigato, Rossese, Ormeasco, fino anche all’internazionale Syrah,  Tutti coltivati sui classici terrazzamenti. Lo spumante nasce da una commistione tra Liguria e Oltrepò pavese con il matrimonio tra il Pinot nero e il Pigato. Vino giallo paglierino intenso, profumi di frutta rossa e erbe aromatiche. In bocca è suadente ed accattivante, dove è riconoscibile il Pigato e la spalla del Pinot Nero. Dotato di buona freschezza, sapidità ed equilibrio, ti finisci la bottiglia senza accorgertene. (www.ramoinovini.com)

Basura Obscura – Metodo Classico – Durin

Siamo nelle Grotte di Toirano in particolare della Grotta della Bàsura, una delle sale più suggestive dove la famiglia Basso ha deciso di produrre una personale interpretazione del metodo classico. Prodotto con il metodo della criomacerazione, una pressatura soffice delle uve e un parziale affinamento in botti di una piccola percentuale del vino base. Rimanenza sui lieviti nella seconda fermentazione per almeno 24 mesi, ma l’intento è quello di allungare sensibilmente i tempi. Nel calice un bellissimo colore giallo paglierino, con bollicine finissime, numerose e persistenti. Al naso i sentori varietali del Pigato vanno a braccetto con eleganti sentori agrumati di cedro, erbe aromatiche, fiori bianchi e piacevole nota di vaniglia. Il palato è fresco, avvolgente, elegante, complesso e con una buona sapidità che ricorda la brezza iodata. Vino dal facile abbinamento: dai frixoi di erbe a quelli di baccalà, a primi piatti con ragù bianchi di mare e di terra, frutti di mare, secondi di mare leggermente salsati ma anche formaggi a pasta molle. (www.durin.it)

Lady Chatterley – Metodo Classico | Marì – Metodo AncestraleCantina Sancio

È il risultato finale del percorso sulla Lumassina: un metodo classico con permanenze sui lieviti da 20 a 30 mesi. Giallo paglierino dorato, brillante, con “catenelle” di bollicine molto fini e fitte, al naso è abbastanza intenso, elegante, con sentori floreali di ginestra, note agrumate di lime e chinotto, balsamiche e di erbe aromatiche per poi evolvere su toni minerali. In bocca presenta un corpo snello, è fresco vivo, sapido, verticale, con le componenti balsamiche e agrumate in grande evidenza, oltre alle caratteristiche note erbacee del vitigno; mostra persistenza contenuta ma lascia però in bocca un piacevole retrogusto molto fresco, che invita al riassaggio. Poi il metodo ancestrale “MaRì”, nata dal blocco della fermentazione e poi dalla successiva rifermentazione in bottiglia sfruttando il residuo zuccherino: il vino non è sboccato e non è filtrato. Vino fruttato, floreale con una piacevole sapidità e una sensazione minerale che lo rendono adatto ad accompagnare aperitivi e antipasti di mare leggeri. (www.cantinasancio.it)

Andalora – Metodo Martinotti – Cascina Praiè

Una scommessa quella della cantina di Marco Luzzati che con gli enologi Alex Berriolo e Roberto Olivieri hanno deciso di vinificare in bianco le uve di Rossese in assemblaggio con il Vermentino. Il colore è un giallo paglierino scarico, con un perlage persistente e mediamente fine. Sentori di mela appena tagliata, di fragolina di bosco e ciliegia, macchia mediterranea e un’invadente ma piacevolissimo sentore di mare. In bocca il vino è di medio corpo, caldo ma l’alcolicità è sopita dalla grande acidità e sapidità che riporta al mar ligure e alla sua macchia mediterranea. Un vino equilibrato con una beva davvero facile: attenzione che si finisce la bottiglia in un attimo! (www.cascinapraie.com)

Vino spumante brut – Metodo Martinotti – La Ginestraia

Fondata nel 2007 nei propri vigneti si coltivano le uve autoctone tipiche della storia ligure, cioè Rossese, Pigato e Vermentino, con rispetto assoluto nel territorio, immersi tra i muretti a secco dove è ardua la meccanizzazione. La filosofia produttiva è quella di mettere al centro il desiderio di conoscenza di ogni singolo centimetro del territorio e creare vini varietali e dotati di una personalità riconoscibile. Il loro spumante di uva Vermentino al 100%, è uno charmat lungo (la presa di spuma in autoclave dura più del classico mese): in questo modo è possibile ottenere un vino con un profilo sensoriale più complesso, caratterizzato da un aroma di lieviti più accentuato e dal perlage più fine. Al naso è fruttato dove è nettamente percepibile la mela, floreale, in bocca è fresco, sapido, avvolgente  ed equilibrato, una vera relazione tra vitigno e territorio. (www.brangero.com)

 

Franco Demoro

 

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