La Razzola: cultivar dell’estremo levante

E non solo, si dovrebbe dire. La Razzola è una cultivar “di frontiera” o, meglio, di collegamento. Di fatto è propria della provincia de La Spezia, per quanto riguarda la Liguria.

Fonti storiche e sinonimi sono in bilico tra Liguria e Toscana nordoccidentale.  Nel Genovesato si trova, come Fischiettara o Mortina a Cornetto o ancora nel dialettale Raseua. Del tutto spezzino il gruppo di definizioni più numeroso: Grappolina Minore a e poi Nostrale (estesa comunque in ambito ligure), Nostrale Ligure a Lerici e Levanto, Olivo Domestico, Olivo femmina, Pendolina (in comune a Genova come Radiola) e ancora Radiola Pendolina (in fondo comune in Liguria) e Razzolo o Razzuola, così letterario. La letteratura scientifica ligure non omette le definizioni massesi: Oliosa oppure Olivo di Bagnone e ancora Olivo femmina.

Spicca il carattere amicale, quasi familiare, come “domestica” o “nostrale”. C’è senso di appartenenza e vicinanza. Non manca l’elemento legato all’osservazione, cosa che oggi tendiamo a non fare più. “Pendolina” o “Grappolina” non sono diminutivi, ma vezzeggiativi, per un albero di tanta importanza.

Allo stesso modo nella provincia di Massa Carrara, confinante con quella de La Spezia, la territorialità ha il suo ruolo nell’indicazione di Bagnone, località che rientra nel bacino imbrifero del fiume Magra, di fatto uno spazio di confine tosco-ligure, mentre pensare ad una “Oliosa” lascia intendere la notevole produttività del frutto. Tutte le definizioni classiche tali da portare al termine “Razzola” sono debitrici di un antico toscano e, come discusso con il professor Fiorenzo Toso dell’Università di Sassari, fanno pensare a quel “radioso” o “raggioso” di una disposizione di frutto.

Se si parla di Razzola come “Olivo femmina”, è ovvio cercare un “Olivo maschio”, che si individua nella varietà Mortellino. Una realtà comune all’area che va dalla Lunigiana fin alla Versilia e in Liguria fino all’alta Val di Vara e Levanto. Di fatto, definizione tipica di osservazione rurale, considerando la tradizione di porre diverse cultivar sul terreno per favorire le impollinazioni.

L’individuazione storica della Razzola è legata al nome di Giorgio Gallesio (1772-1839). Padre della pomologia italiana, spesso citato su queste pagine, è acuto nell’osservazione e nella raccolta di informazioni sul terreno. Durante un viaggio in Toscana, nel 1816 (Giornali dei viaggi, edizione Firenze, 1995, trascrizione e note di Enrico Baldini), Gallesio annota: “L’uliva che domina in tutto questo territorio è la Razza, ossia la Tagliasca. Egli è qui, partendo dal Lucchese dove è sola, che comincia a prendere questo nome che in qualche luogo è modificato in quello di Razza” e poi: “Sono asicurato che in quasi tutta la Toscana La Razzola è la dominante ma che vi riceve nomi diversi”; Il fatto che Gallesio avvicini la Razzola alla Taggiasca (“Tagliasca” è scritto in italiano) non è casuale: portamento simile, produttività comune e condivisione nella grande famiglia dell’Olivo Gentile.

Osservando la Razzola, ora, quale pianta, appare evidente che il portamento sia tendenzialmente colonnare, con chioma semipendula e folta. La resistenza al freddo va dal basso al medio. È pianta domestica, amante del sole ed è cosa buona per quei momenti in cui i venti nordici si inoltrano nelle larghe valli del Levante ligure o fra le forre lunigianesi. Quello che piace è la produttività.

Di fatto la resa al 24,4% è di stampo ligure. Assaggiare la Razzola in purezza, è comunque una esperienza. Ovviamente vive le sue declinazioni annuali ed è sempre una esperienza soggettiva.

Però lascia il segno l’equilibrio sullo spartito di un fruttato che tende al medio. E tende con decisione, con una dolcezza che esiste e si avverte, ma al tempo stesso con una corposità complessa e una dimensione piccante che piace senza essere invadente, che persiste e si adatta ad una cucina che chiama zuppe, farro, fagioli, che è ligure apuana e che può diventare anche internazionale alla ricerca di variazioni sul tema. Non delude, che ha carattere, insomma. E questo piace, perché è mediterraneo, ligure d’animo e vivace di toscanità.

Ma ligure, in fondo. Nostrale.

Alessandro Giacobbe

Lucchi & Guastalli: la terra della Razzola

Lucchi & Guastalli: i cognomi dei fondatori e tanto amore per l’olio di oliva ligure e per i prodotti del territorio ai quali si è attenti con il basso impatto ambientale, dai lavori in campo al frantoio. Siamo a Santo Stefano Magra: gli oliveti si trovano lì. É Liguria di Levante estrema o meglio Bassa Lunigiana. Terra di scambi e di aperture culturali. Le parole di Marco Lucchi in merito alle  tenute terrazzate dove predomina la Razzola sono appassionate. Si parla di circa 10 ettari attorno a Santo Stefano Magra. 3500 alberi, con un 80% di Razzola. Tra i non molti esemplari di altre cultivar spiccano i cosiddetti “impollinatori” come l’Olivastrone. I nomi delle regioni olivate affascinano per la loro dimensione ligure-toscana. C’è la Paìsa che denota la vicinanza all’abitato (“paese”), la Nuda, che riferisce di un’area disboscata e poi posta a coltura.

Non si dimentichi la necessità di legno per i vicini cantieri navali medioevali di Pisa… e poi, ancora più vicino all’abitato di Santo Stefano, ove passa la via Francigena, Casteldoglio, un punto fortificato originario che però viene convertito in area olivata e infine l’Arzéta, in cui si rileva il riferimento a cognomi locali che a loro volta si rifanno ad “Arze” o “Arxe” termine ligure per “larice”. Appare chiaro che i terreni derivino da un cognome, data la loro posizione non elevata. Razzola, dunque storia, qualità, biodiversità.

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