Esegesi della Taggiasca: cultivar di olivo, ligure occidentale, da olio e da mensa

di Alessandro Giacobbe

Oggi la Taggiasca è una delle non molte specie di oliva, da olio e da mensa, note al grande pubblico. Eppure l’Italia è la patria della biodiversità per le cultivar di olivo. Meglio, dunque, conoscerne qualcuna in più con tutti gli innegabili pregi. E meglio conoscere ancora di più la Taggiasca, senza cadere in luoghi comuni e citazioni iperboliche.

La letteratura in merito, basata anche sugli autori classici, nota il passaggio dell’olivo dal mondo greco a quello che sarebbe stato utile nel contesto etrusco e romano circa 2600 anni fa.

Per la Liguria, già in età romana, si ricorda l’azienda olivicola del Varignano Vecchio, presso il Golfo dei Poeti in provincia della Spezia. E quindi archeologici ed archeobotanici, con le fondamentali osservazioni di Daniele Arobba ed altri, hanno reso noto la presenza e la coltivazione dell’olivo, in modo probabilmente limitato sia a Vado per l’età romana (allora Vada Sabatia) che a Pietra Ligure per una fase altomedievale. In questo caso non è facile distinguere tra la presenza di piante di olivo selvatico, anche in relazione ad un abbandono post romano della coltura o forme di coltura organizzata, peraltro sviluppate dopo il IX-X secolo, dunque circa 1100/1000 anni fa. E così anche nel Finalese e nell’area di Albenga.

Stando a queste indicazioni, ci si trova di fronte ad una consueta vicenda di allignamento dell’olivo e di progressivo domesticamento. Una vicenda del tutto mediterranea. Interessa a questo punto capire quando vi siano stati fattori determinanti per la selezione della cultivar, la quale, ovviamente, può avere vari apparentamenti. E soprattutto come questa cultivar sia fortemente collegata ad un territorio determinato, anche in forza del nome, che definisce una chiara appartenenza geografica (vedi box di approfondimento). Date le premesse soprastanti, anche in questa sede si deve ribadire la sostanziale estraneità di ordini religiosi, nella fattispecie i Benedettini cassinesi, alla “introduzione” dell’olivo in Liguria occidentale, mediante un’iniziativa partita dall’Italia centromeridionale. Fermo restando che la presenza benedettina in Liguria anteriore al X secolo può essere collegabile ad un impulso piemontese (in Piemonte, comunque, c’erano olivi prima del Mille), non sono sufficienti i titoli di San Dalmazzo a Taggia per un rione e a Triora per una chiesa, uniti ad una documentazione tarda e lacunosa, nonché alla mancanza di riscontri archeologici anche solo per giustificare una presenza. In ogni caso dal X secolo in avanti e fino alle carte statutarie di molte Comunità, la documentazione disponibile ci parla di un olivo presente, ma non in modo massivo o esclusivo. A Taggia, forse, si verificano buone condizioni di studio e di rinnovamento delle piantagioni, anche con innesti sull’olivo selvatico. Si tratta però di una condizione verificabile in altre località della Liguria occidentale. E se proprio deve esservi una memoria monastica, non si deve dimenticare la presenza della stazione cistercense nel 1197. L’ordine è noto per il suo impegno a livello di gestione agricola in ogni dove mediante le sue grange. E fra Taggia e Castellaro si erge appunto il Monte Grange.

Nel 1972 Massimo Quaini ha dato inizio ad una serie di studi, che altri sviluppano tuttora, individuando fattori economici utili a comprendere la crescita esponenziale dell’olivicoltura ligure ed in particolare nel Ponente ligure, ivi comprendendo la necessità dell’approvvigionamento materiale e fiscale genovese, nonché una domanda che nel tempo è cresciuta a livello europeo. Si parla di un fenomeno assodato con la “caratata” (indagine fiscale-territoriale) genovese del 1531 e consolidato fino al 300-200 anni fa. E del resto storici ed agronomi di età napoleonica, dunque operanti 200 anni addietro e vicini per memoria ai fatti, mentre mitizzano l’origine dell’olivicoltura ligure, tentando di offrire una visione esaltata al fenomeno, sono ben chiari nel definire l’enorme portata produttiva. Una produzione, sia chiaro, possibile a patto di una gestione faticosissima di un territorio limitato, dove entra in gioco, dunque, la produttività dell’oliva Taggiasca: frutto di piccole dimensioni, ma di alta resa in olio.

L’oliva Taggiasca è però anche oliva da mensa. Al momento si può ritenere che si tratti dell’oliva edule più nota, presente sul mercato come oliva tal quale in salamoia o denocciolata, in olio di oliva o in forma di paté di oliva o tapenade. Una tale fortuna ha avuto i suoi tempi e nasce da una dimensione tradizionale articolata. L’oliva è un frutto amaro, appena colta dall’albero. Per poterla mangiare è necessario operare un trattamento, lungo molti mesi, naturale, affidato soprattutto al sale e poi agli aromi del Mediterraneo. Appare chiaro che l’ingegno umano di queste latitudini si è applicato nel tempo. In ambito genovese e ligure si conosceva certamente l’arte di indolcire l’oliva. Cinquecento anni fa il medico genovese Oderico conosce vari tipi di oliva da mensa, basandosi sul loro colore e sull’efficacia nella dieta. Poco più tardi il più noto cuoco del Rinascimento, Bartolomeo Scappi (1500-1577) serve “olive di Genova” in un raffinato banchetto per il cardinale Campeggio a Roma nel 1536. “Olive di Genova”, allora, era come dire “olive provenienti dal territorio della Repubblica di Genova”, dunque da gran parte della Liguria. Si osservi però: sono citazioni “da ricchi”. Dunque le olive in salamoia erano conosciute e prodotte. E ulteriori prove si hanno più tardi, al ridosso delle osservazioni degli agronomi sopra citati. Nel 1854 Tommaso Marsucco, poligrafo onegliese, pubblica e Marsucco l’ormai rarissimo fascicolo delle Nozioni agricolo-teorico-pratiche-commerciali. Nel capitolo X, pp.22-23, parla dell’oliva “taggiasca ossia giuggiolina” e riferisce della salamoia delle olive ovvero delle conserve di olive prodotte presso le case di famiglie agiate e possidenti. L’autore segnala diverse modalità di salamoia delle olive, a diversi livelli di invaiatura, in grado di conservarsi per anni. La tradizione delle olive in salamoia è dunque cosa diffusa nelle classi abbienti, borghesi e commerciali, anche con riferimento alla tradizione nizzardo-provenzale. Carlo Carocci Buzi, per 45 anni alla guida dell’Istituto Sperimentale per l’Olivicoltura e l’Oliveto, sito ad Imperia, con la consueta lungimiranza, dopo dieci anni di studi a livello industriale, casalingo e con un interesse per la pasta di olive, nel 1945 pubblica un volumetto legato alla propria esperienza di indolcimento delle olive taggiasche. Durante i primi anni della seconda guerra mondiale alcune industrie imperiesi hanno richiesto al Ministero dell’Agricoltura l’autorizzazione a produrre e commercializzare un quantitativo sia pure minimo di olive taggiasche in salamoia, vendute poi sui mercati dell’Italia settentrionale con favore. Si trattava di quattro ragioni commerciali. La Repubblica di Salò, bisognosa di olio d’oliva, blocca successivamente quest’iniziativa, ma la strada era ormai segnata.

Nel secondo dopoguerra alcune aziende della provincia di Imperia iniziano la produzione di olive taggiasche in salamoia, di paté di olive taggiasche ed altre preparazioni e salse derivate. Ne fa fede sia documentazione dell’Archivio Centrale dello Stato sia lo studio di Nello Cerisola relativo alle industrie imperiesi. A questo punto è di fondamentale importanza è la considerazione del nome “Taggiasca” associato alle olive da mensa ed alla pasta di olive presente nella Raccolta degli usi e consuetudini vigenti nella Provincia di Imperia. Nel volume del 1975 viene chiaramente indicata la qualità “Taggiasca” di olive per la preparazione in salamoia (articolo 66) e quindi si parla di contrattazione (articolo 67). Di seguito, nel volume del 1985, compaiono le medesime prescrizioni (articolo 60 e 61), ma si aggiunge quella relativa alla preparazione della pasta di olive (articolo 62). Le medesime indicazioni sono presenti anche nel volume edito nel 1990, agli articoli 60, 61, 62 e 63 di pp.41-43.

Da questo momento in avanti la dimensione commerciale e l’uso invalso di definizione del prodotto sul mercato e presso l’opinione pubblica è molto ampio. Ne fanno fede le citazioni presso innumerevoli ricettari, su quotidiani e periodici e testimonianze e gradimento di studiosi, critici e chef quali Marco Guarnaschelli Gotti, Allan Bay, Davide Oldani, Alain Ducasse e molti altri.

NOME E SINONIMI

Dai documenti notarili agli agronomi Grimaldi, Gallesio, Picconi, Capponi, allo storico Marsucco e all’ufficialità del prefetto Chabrol: si parla di Tagliasca, di Taggiasca e dei sinonimi Ulivo Gentile e giuggiolina. La variabilità del nome è legata alla necessità di pubblicare una riconoscibilità consolidata, andando oltre l’esperienza tassonomica del francese Joseph Pitton de Tournefort. Nell’osservazione delle varie pubblicazioni, si può notare che Chabrol, francese, utilizzi il termine Tagiasca e il suo sottoprefetto Monticelli, italiano, quello di Taggiasca. Gallesio pone la specie di olivo nella grande famiglia del Gentile e utilizza Tagliasca in modo importante. In seguito si afferma il termine di Taggiasca e in generale si utilizza il sinonimo di giuggiolina (piccola giuggiola): non si dimentichi che si parla a chi la frutta la vedeva sugli alberi e non al supermercato. E mangiava anche le giuggiole, oggi abbastanza scomparse dalle nostre tavole. Di fatto si nota come il termine Tagliasca sia più utilizzato in testi di respiro o pretesa nazionale. E la circostanza linguistica è ovvia. L’autorevole opinione orale del professor Fiorenzo Toso dell’Università di Sassari è chiara: Tagliasca è italiano, per il pubblico vasto di una Italia ancora divisa. Taggiasca è dialetto. È come per “aglio” e “aggiu”. E il termine con il suffisso -asco indica “appartenenza”. Dunque si parla di un’oliva “di Taggia”. Dove Taggia è un termine geografico arcaico dialettale, “Taglia” in italiano. Non si può equivocare.

COMITATO PROMOTORE: il suo percorso

La richiesta di protezione dell’oliva Taggiasca come D.O.P. risale al 2004 con la Costituzione del Comitato promotore “dell’oliva Taggiasca in salamoia”, promosso dalle associazioni di categoria: Confederazione Italiana Agricoltori di Imperia e Savona assieme a produttori, trasformatori e confezionatori. Il Comitato si poneva quale obiettivo la registrazione della D.O.P. come oliva ed olio, presentando i documenti previsti. Successivamente, il 14 luglio 2016 si costituisce il nuovo Comitato promotore “dell’oliva Taggiasca”, forte dell’impegno delle associazioni di categoria, dell’Unione Industriali e di 1253 aziende, dotate di fascicolo aziendale presentato. Si chiede quindi la sostituzione del nome della varietà dallo schedario oleicolo italiano, sostituendolo con un sinonimo storicamente accertato. In questo modo si intende riservare il nome dei prodotti realizzati da questa varietà, ossia olio extravergine di oliva, olive in salamoia e paté di olive nel solo territorio delle province di Imperia e Savona. Di fatto, non sarebbe corretto iscrivere nel registro sopra detto nomi varietali che contengano riferimenti geografici. E Taggiasca, come si è notato, fa riferimento a Taggia, Provincia di Imperia.

Il manuale dell’olio D.O.P. Riviera Ligure: una guida per la conoscenza e l’utilizzo degli extravergini

Nel quadro del Programma di Sviluppo Rurale 2014-2020, il Consorzio per la Tutela dell’Olio Extravergine di Oliva D.O.P. Riviera Ligure ha promosso un progetto denominato “Riviera Ligure incontra gli Istituti Alberghieri”. Assieme a Fondazione Qualivita è stato realizzato un manuale ad uso degli studenti, redatto dal noto oleologo Luigi Caricato. L’opera è di fatto semplice quanto esaustiva. In 15 capitoli si passa dall’osservazione di un prodotto che nasce per spremitura meccanica da un frutto, l’oliva, alle tipologie di olio in commercio, alla specificità dell’extravergine e delle D.O.P. Aiutano, e molto, sia lo studente che il consumatore, il decalogo per acquistare, conservare, assaggiare, utilizzare, abbinare il migliore olio possibile in ogni situazione gastronomica. Davvero interessante appare poi il codice degli abbinamenti, dalle zuppe, alle carni, ai dolci: anche le situazioni apparentemente più difficili sono presentate e risolte in modo brillante. Emergono infine i valori dell’olio extravergine di oliva D.O.P. Riviera Ligure, corredati da una trascrizione del disciplinare di produzione. Un’opera completa, concentrata in 64 agili pagine che non lasciano dubbi di sorta. È possibile scaricarne la versione digitale in pdf da qui.

Qui la ricetta per la preparazione casalinga della Salamoia.

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